Le ricerche sulle cause e i rimedi della depressione si susseguono con un ritmo frenetico.
Pochi giorni fa avevamo parlato del gene P11, la cui attivazione comporterebbe una maggiore ricettività del cervello riguardo alle sensazioni di benessere e di appagamento.
Una nuova scoperta ci dice che, dal momento che la sindrome depressiva si baserebbe su un interruttore molecolare che inibirebbe le attività di altre molecole e il corretto funzionamento dei neuroni, basterebbe davvero schiacciare il pulsante in questione in senso opposto per spegnerla. Fantascienza? Quasi, ma è questione di tempo e in un futuro non così lontano avremo a disposizione nuovi farmaci contro la depressione molto più efficaci degli attuali, che hanno effetti positivi solo sul 60 % dei pazienti e, tra l’altro, solo dopo alcuni mesi di terapia.
I ricercatori dell’Università di Yale hanno annunciato il risultato della loro ricerca sulla rivista Nature Medicine: la depressione ha origini genetiche e sarà quindi più facilmente guaribile di quanto sia stato finora. Di che gene si tratterebbe? Di quello che produce la MKP-1, una proteina che disattiva i processi basilari di sopravvivenza e alcune funzionalità neuronali e, guarda a caso, presente più del doppio nei cervelli dei depressi. Il test è stato effettuato da Ronald Duman e dalla sua equipe sugli encefali di 21 malati deceduti messi a confronto con quelli di 18 individui sani. Sarebbe proprio la MKP-1 l’interruttore della depressione.
Infatti, se lo si pigia al contrario – se cioè si rende questa proteina inattiva – il cervello, almeno quello dei topi su cui è stato fatto un secondo studio, risulta resilente, ovvero immune allo stress; al contrario se si iperattiva la sostanza, i topi cominciano a dare segni di depressione. Esiste quindi un legame tra capacità di fronteggiare a spada tratta lo stress e la depressione. Il nemico acerrimo della mPK-1 sarebbe un’altra proteina, la deltaFosB, un fattore di trascrizione neuronale che attiva o rende silenziosi certi geni. “Abbiamo scoperto che la stimolazione dell’attività della deltaFosB nel circuito della ricompensa è necessaria e sufficiente per la resilienza e protegge i topi dall’insorgenza di una sindrome simile alla depressione che segue lo stato di stress sociale cronico“, spiega Eric Nestrler della Mount Sinai School of Medicine su Nature Neuroscience. La delttaFosB agirebbe soprattutto a livello del centro cerebrale della ricompensa: le vere e proprie droghe o anche le “ricompense naturali” come cibo e sesso possono aumentare i livelli di tale fattore fino a causare cambiamenti duraturi nelle cellule cerebrali e portare alla dipendenza. Ed è proprio questa l’area che viene alterata nella depressione.
“In particolare, la deltaFosB è particolarmente carente nel cervello di persone che soffrono di depressione. Così l’induzione di questa proteina è un adattamento positivo che ci consente di superare lo stress, perciò la speranza è di poterlo sfruttare dal punto di vista farmacologico” continua Nestrler nel suo articolo. Superare lo stress con la deltaFosB e cadere depressi con la MPK-1 sarebbero allora le due faccia della stessa medaglia, i due lati di uno stesso bottone: pigiarlo sul lato della prima proteina sarà allora presto risolutivo per tutte quelle persone costrette a non vivere appieno la loro vita per una malattia così distruttiva e nefasta come la depressione.
Valentina Nizardo