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Invidia: quando il dolore degli altri diventa piacere

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L’invidia è da sempre un sentimento da nascondere e di cui si preferisce non parlare: condannata dalla società, tanto da essere considerata dal punto di vista morale e religioso, un “vizio capitale”.

L’invidioso svaluta le persone che percepisce come “migliori” di sé e spesso cerca di danneggiare oggettivamente l’invidiato, ostacolandolo in ogni suo progetto o iniziativa.

Lui, infatti, è “colpevole” agli occhi dell’invidioso di essere apprezzato e stimato dalla società più del dovuto. La religione associa l’invidia al diavolo: l’invidioso per eccellenza. La superstizione associa all’invidia “poteri lesivi” e suggerisce una serie di riti e rituali per liberarsene.

Ma un team di ricercatori giapponesi ha condotto una ricerca sull’invidia che è stata pubblicata sulla rivista scientifica Science. Le conclusioni sono che l’invidia è come un dolore fisico e la sfortuna degli altri un piacere, a dimostrarlo la risonanza magnetica che mostra come le emozioni negative attivino nel cervello le aree associate alle sensazioni fisiche.

L’equipe di Hidehiko Takahashi dell’Istituto Nazionale di Scienze Radiologiche di Inage-ku, in Giappone ci svela le reazioni all’invidia e alla “Schadenfreude”, che in tedesco indica proprio il piacere che deriva dalle sventure degli altri. Il risultato nel primo caso è stato un aumento dell’attività nella corteccia cingolata anteriore dorsale, la stessa area che “si accende” quando ci si fa del male fisico. Nel secondo caso, invece, a essere più attivo è lo striato ventrale, che si associa all’appagamento. È il tipo di benessere che il corpo sperimenta dopo aver mangiato cioccolato, aver fatto sport o sesso oppure aver assunto droghe.

Insomma, quell’emozione meschina e negativa che chiamiamo invidia ci provoca il dolore equivalente della slogatura di una caviglia o della bruciatura di un dito. Rassegnatevi, se siete invidiose proverete ogni volta che assistete al successo di qualcuno, la stessa sensazione di quando vi prendono a martellate le dita, infatti, a detta dei ricercatori per il nostro cervello “questi due tipi di sofferenza” non sono diverse. Inoltre, gli studiosi rincarano affermando che il dolore altrui (schadenfreude) provocherà nell’invidioso autentico piacere.

Il team giapponese per giungere a queste conclusioni ha fotografato attraverso la risonanza magnetica il cervello di 19 uomini e donne analizzandone l’attività neuronale.

La rilevanza della scoperta sta nel mostrare per la prima volta che il cervello elabora nello stesso modo il vissuto sociale e le sensazioni fisiche.

Il dolore e il piacere sono due sensazioni fisiche che servono alla nostra sopravvivenza, ma perché mai il cervello dovrebbe equiparare le esperienze sociali, come il rifiuto o l’apprezzamento altrui o la gelosia per le qualità di un altro, a bisogni così primitivi e al tempo stesso primari come dolore e piacere? Probabilmente la risposta sta nell’evoluzione dell’uomo. Il dolore e il piacere sono due sensazioni fisiche che servivano alla nostra sopravvivenza, così come erano indispensabili per sopravvivere le esperienze sociali, senza le quali non si sarebbe stati accettati all’interno della tribù. Non avere un gruppo sociale avrebbe reso più arduo procacciarsi il cibo e quindi sopravvivere.

Forse quelle stesse pressioni evolutive con il tempo potrebbero aver favorito lo sviluppo di meccanismi interni che ora ci fanno avvertire come piacevoli i sentimenti positivi nei confronti degli altri, e come dolorosi quelli negativi quali l’invidia, al fine di promuovere l’attaccamento al gruppo e assicurarsi così la sopravvivenza.

Nonostante le molteplici chiavi di lettura, non è facile dare una risposta a questo complesso sentimento che chiamiamo invidia. Forse l’unica cosa certa che possiamo affermare è la frase del filosofo e matematico gallese Bertrand Russell “L’invidia è una terribile fonte di infelicità per moltissima gente”. Ora sappiamo che l’infelicità di cui parlava il filosofo non è una astratta sofferenza dell’anima, ma un dolore concreto e pungente.

Manuela Marino

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