Negli ultimi anni, la scienza ha fatto importanti passi avanti nello studio dei disturbi dell’umore resistenti ai farmaci. Tra le tecniche più promettenti figura la stimolazione cerebrale profonda (DBS, Deep Brain Stimulation), una procedura già utilizzata per il Parkinson e oggi al centro di numerosi studi sulla depressione maggiore resistente e sul disturbo bipolare.
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Pacemaker cerebrale: come funziona
La DBS prevede l’impianto chirurgico di elettrodi in aree specifiche del cervello, collegati a un generatore di impulsi – una sorta di “pacemaker” cerebrale – posizionato sotto la clavicola. Questa stimolazione elettrica, continua e ad alta frequenza, ha lo scopo di modulare l’attività neuronale disfunzionale nelle aree coinvolte nei disturbi dell’umore.
Uno studio pionieristico condotto dalla Emory University School of Medicine e pubblicato sulla rivista Archives of General Psychiatry ha mostrato risultati promettenti. La procedura è stata testata su 17 pazienti: 10 con disturbo depressivo maggiore e 7 con disturbo bipolare, tutti resistenti ai farmaci.
Lo studio di Helen Mayberg
Helen Mayberg, neuroscienziata di fama mondiale, ha guidato la ricerca impiantando elettrodi nell’area subcallosa del cingolo, una regione cerebrale nota per il suo coinvolgimento nella regolazione dell’umore. I pazienti sono stati sottoposti prima a una stimolazione in cieco (placebo) per quattro settimane e poi a stimolazione attiva per 24 settimane.
Alla fine del ciclo completo, 11 dei 12 pazienti che hanno completato l’intero protocollo hanno mostrato una remissione parziale o completa dei sintomi depressivi. Alcuni di loro hanno riportato un netto miglioramento già dopo sei mesi.
“La maggior parte di questi pazienti – ha spiegato Paul Holtzheimer della Dartmouth Medical School, coautore dello studio – è rimasta in uno stato di depressione per molti anni e questo l’ha isolata. Ora che la depressione migliora, queste persone hanno bisogno di aiuto per raggiungere il pieno recupero che include anche l’integrazione nella società”.
Dati a lungo termine e percentuali di successo
I risultati a lungo termine sono sorprendenti. Dopo due anni di follow-up:
- Il 92% dei pazienti ha mostrato una risposta positiva al trattamento.
- Il 58% ha raggiunto la remissione completa.
- Uno su cinque è guarito del tutto dopo appena sei mesi dall’impianto.
I tassi di remissione e risposta sono cresciuti nel tempo: 18% e 41% a 24 settimane, 36% a un anno e oltre il 90% a due anni. Risultati che aprono una nuova strada per chi soffre di depressione resistente, una delle forme più invalidanti e difficili da trattare.
Stimolazione cerebrale profonda e disturbo bipolare
I disturbi dello spettro bipolare sono caratterizzati da fasi di mania (o ipomania) alternate a episodi di depressione grave. In alcuni casi, la componente depressiva è così persistente e refrattaria ai farmaci da rendere la vita quotidiana impossibile.
La DBS sembra agire regolando i circuiti disfunzionali nel cervello limbico, migliorando non solo l’umore, ma anche la motivazione, il sonno e la funzionalità cognitiva. Tuttavia, come accade spesso con le novità terapeutiche, non tutti sono concordi.
C’è infatti chi paragona questa tecnica a una versione moderna dell’elettroshock, con il rischio di stigmatizzare la procedura prima ancora che venga compresa appieno. È bene precisare che, a differenza dell’elettroshock (TEC), la DBS non provoca crisi epilettiche ed è completamente reversibile: gli elettrodi possono essere spenti o rimossi senza conseguenze permanenti.
Criticità e limiti della DBS
Nonostante i dati incoraggianti, la DBS resta una tecnica invasiva che comporta rischi chirurgici, come infezioni o emorragie. Inoltre, non tutti i pazienti rispondono positivamente: i criteri di selezione sono molto rigorosi e si basa su valutazioni neuropsichiatriche approfondite.
Altro limite importante è l’accessibilità: in Italia, la stimolazione cerebrale profonda per la depressione è ancora considerata un trattamento sperimentale, offerto solo in alcuni centri universitari nell’ambito di protocolli clinici.
Nuovi studi in corso: Alzheimer, PTSD e oltre
Oggi la ricerca sta esplorando l’uso della DBS anche per altri disturbi neuropsichiatrici come:
- Alzheimer: per rallentare il declino cognitivo nelle fasi precoci.
- Disturbo post-traumatico da stress (PTSD): con focus sulla regolazione della paura e della memoria emotiva.
- Disturbi ossessivo-compulsivi (DOC): già approvati dalla FDA in casi gravi resistenti alla terapia.
In parallelo, sono allo studio versioni meno invasive della stimolazione cerebrale, come la rTMS (stimolazione magnetica transcranica) e la tDCS (stimolazione a corrente continua), che stanno già entrando nella pratica clinica grazie alla loro sicurezza e semplicità di utilizzo.
Un futuro aperto alla neurostimolazione
La stimolazione cerebrale profonda rappresenta oggi una delle più interessanti frontiere nel trattamento della depressione maggiore resistente e del disturbo bipolare. I risultati ottenuti, seppur ancora su piccoli numeri, mostrano un potenziale rivoluzionario per pazienti che hanno provato tutto, senza successo.
Serviranno ancora tempo, fondi e ricerche per affinare la tecnica, definire meglio i profili dei pazienti candidati e rendere il trattamento più accessibile. Ma il fatto che sia possibile modificare l’attività cerebrale in modo preciso e mirato rappresenta una speranza concreta per migliaia di persone che lottano ogni giorno contro la depressione.
In un mondo in cui il disagio mentale è in aumento e le terapie convenzionali non bastano più, la DBS potrebbe diventare presto una valida alternativa terapeutica, capace di restituire vita, autonomia e dignità a chi pensava di averle perse per sempre.