Secondo una ricerca di Sovereign Health Care, i lavoratori uomini e le lavoratrici donne si comportano in modo completamente diverso
Negli ultimi anni il tema delle assenze dal lavoro e delle differenze tra uomini e donne è tornato al centro del dibattito pubblico. Se alcuni anni fa circolavano sondaggi che dipingevano le donne come “campionesse delle scuse” e gli uomini come instancabili lavoratori, oggi il quadro è molto più complesso e, soprattutto, molto più sfumato. Le trasformazioni sociali, lo smart working, le nuove politiche aziendali e una maggiore attenzione al benessere mentale hanno cambiato radicalmente il modo in cui percepiamo la produttività e il concetto stesso di assenza.
Indice
L’origine dello stereotipo
Il punto di partenza è una ricerca condotta per Sovereign Health Care, secondo la quale le donne ricorrevano più spesso a qualunque scusa pur di saltare un giorno di lavoro. Un raffreddore leggero, un semplice mal di testa o un piccolo fastidio sarebbero stati sufficienti per telefonare in ufficio e chiedere un giorno di malattia.
Gli uomini invece, secondo lo stesso sondaggio, sembravano l’esatto opposto: difficilmente si sarebbero assentati anche con influenza o febbre. Inarrestabili e devoti al lavoro, pronti a presentarsi in ufficio imbottiti di medicinali e con il motto: “a lavoro sempre e in qualunque condizione!”.
La ricerca era stata condotta su un campione di 1360 persone. Secondo i risultati, il 56% delle donne preferiva restare a casa anche con sintomi lievi, mentre tra gli uomini questa tendenza riguardava solo circa un terzo del campione.
Uno stereotipo che non convince (e non convinceva neppure allora)
Già all’epoca, però, la rappresentazione risultava eccessivamente caricaturale. Le donne venivano descritte come vere e proprie attrici melodrammatiche, pronte a fare una tragedia per un’unghia spezzata o a ricorrere alla scusa intramontabile dell’arrivo di “quei giorni”.
Ma la realtà quotidiana mostrava – e mostra tuttora – tutt’altro. Le donne spesso continuano a gestire la casa, i figli, la cucina, la burocrazia familiare e tutti quei compiti che potremmo racchiudere nel famoso elenco: lavare-cucinare-stirare-far-quadrare-tutto. Il tutto anche quando non stanno bene, quando i dolori le costringerebbero a letto e quando la stanchezza raggiunge livelli difficili da ignorare.
Il paradosso degli uomini “stakanovisti”
E gli uomini? Il cliché li dipinge come lavoratori instancabili, sempre pronti a sacrificarsi per la carriera e mai disposti a stare a casa. Eppure, nella vita privata molti di questi presunti eroi dell’operosità diventano fragilissimi non appena arriva un raffreddore. Gli stessi che sul lavoro non saltano un giorno, a casa chiedono spesso che il bicchiere d’acqua gli venga portato fino al divano perché “la febbre li rende deboli”. Un contrasto che, oggi come allora, suscita più di un sorriso.
Lei è pronta a sacrificarsi per la casa e lui per il lavoro? La domanda resta provocatoria, ma evidenzia un punto importante: i ruoli di genere influenzano ancora profondamente la percezione della fatica, della produttività e della legittimità di prendersi cura di sé.
Cosa dicono oggi i dati reali sulle assenze
Negli ultimi anni l’ISTAT e vari osservatori sul lavoro hanno restituito un quadro molto più articolato. Diversi fattori hanno contribuito a cambiare radicalmente il fenomeno delle assenze:
- lo smart working ha ridotto il numero di giornate di malattia “leggere”, perché molti lavoratori preferiscono lavorare da casa anziché prendere un giorno intero di permesso;
- la maggiore attenzione alla salute mentale ha portato più persone – uomini e donne – a chiedere periodi di riposo per stress, burnout o ansia;
- le nuove politiche aziendali favoriscono flessibilità, giornate off e welfare aziendale, normalizzando il concetto di prendersi una pausa quando serve;
- i ruoli familiari si sono evoluti, con uomini sempre più coinvolti nella gestione domestica e nella cura dei figli.
In questo nuovo scenario, l’idea che le donne si assentano “per un nonnulla” e gli uomini “mai” non trova più riscontro nella realtà: entrambi i sessi oggi tendono a prendersi più cura della propria salute rispetto al passato, sebbene spesso per motivi diversi.
Il peso del carico mentale femminile
Uno degli elementi emersi negli studi più recenti è il cosiddetto carico mentale, ovvero l’insieme di responsabilità invisibili che pesano soprattutto sulle donne: organizzare gli impegni familiari, gestire i figli, ricordare scadenze, cucinare, far quadrare i conti, prendersi cura degli anziani.
Questo carico, sommato al lavoro retribuito, porta molte donne a sperimentare livelli di stress e stanchezza molto elevati. Di conseguenza, è più probabile che percepiscano prima e in modo più intenso i segnali del corpo, e che si concedano un giorno di pausa per evitare di crollare del tutto.
Non è debolezza, ma preservazione: una strategia per evitare conseguenze più gravi.
Uomini, lavoro e identità: perché fanno più fatica a fermarsi
Per molti uomini persiste l’idea – culturale più che reale – che prendersi un giorno di malattia sia un segno di debolezza, soprattutto in ambienti lavorativi competitivi. È un retaggio antico, legato all’immagine del “capofamiglia forte e instancabile”.
Questo atteggiamento porta però a due problemi significativi:
- il rischio di peggiorare la malattia, presentandosi al lavoro in condizioni non ottimali;
- il cosiddetto presenteeism: essere fisicamente presenti ma incapaci di essere produttivi, con impatto negativo anche sulle aziende.
Secondo molti HR manager, infatti, il presenteeism è oggi molto più costoso dell’assenteismo.
Smart working e nuove abitudini: un equilibrio possibile
L’introduzione massiva dello smart working dopo il 2020 ha cambiato completamente le abitudini. Molti lavoratori, pur non sentendosi al 100%, preferiscono lavorare da casa piuttosto che chiedere un’intera giornata di malattia. Questo ha ridotto i contrasti tra uomini e donne e ha normalizzato il concetto di ascoltare il proprio corpo.
Lo smart working ha inoltre permesso:
- una migliore gestione dei figli;
- maggiore equilibrio tra vita privata e professionale;
- una riduzione dello stress legato agli spostamenti;
- la possibilità di prendersi pause senza sensi di colpa.
Oggi uomini e donne si assentano con motivazioni più simili rispetto al passato: stanchezza, stress, influenza stagionale e gestione familiare.
Dove sta davvero la verità?
La verità, come spesso accade, è al centro. Nessuno dei due sessi è “più assenteista” in modo naturale: molto dipende dal tipo di lavoro, dal contesto familiare, dal livello di stress, dal supporto ricevuto e dalle aspettative culturali.
Un quadro moderno mette in luce che:
- le donne tendono a sentire di più il peso della stanchezza perché devono ancora gestire la maggior parte delle responsabilità familiari;
- gli uomini faticano a concedersi giorni di riposo per pressione sociale e culturale;
- le differenze si riducono quando le aziende favoriscono inclusione, flessibilità e benessere;
- le nuove generazioni mostrano comportamenti più equilibrati e meno legati agli stereotipi.
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Il vecchio dualismo “donne assenteiste, uomini stakanovisti” appartiene ormai più alla narrativa del passato che a una realtà attuale. Oggi lavoriamo in un mondo più flessibile, più consapevole e più attento al benessere psicofisico. Le differenze esistono, certo, ma non sono innate: sono il risultato di ruoli sociali, aspettative culturali e carichi familiari distribuiti in modo ancora non del tutto equo.
E voi cosa ne pensate? Il dibattito è ancora apertissimo, e ogni esperienza personale può raccontare una sfumatura diversa.