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Il pupo piange? Occhio ai segnali

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Il bimbo piange, piange e non la smette. Panico e ansia s’insinuano nel cuore di mamma e papà: cosa avrà? Perché piange così? Perché a quest’ora insolita? Sarà un capriccio? O sarà un campanello d’allarme?

Eh sì, quanti interrogativi nella vita di un genitore! Molti di questi interrogativi non troveranno mai risposta, perché fare il papà e la mamma non è un mestiere e non c’è nessun manuale che possa davvero essere d’aiuto. Sviluppare un rapporto così intimo e naturale col bebè, al punto da tale da capire e riconoscere ogni segnale con una sola occhiata, è cosa tanto bella quanto rara, purtroppo.

Il pianto, però, è l’unico linguaggio che un bimbo di meno di un anno possa utilizzare per comunicare con il mondo esterno. Spesso piange senza soffrire, ma solo per esprimersi, mentre noi genitori, inevitabilmente, colleghiamo la lacrima a una forma di dolore.

Secondo il dott. Italo Farnetani (pediatra, giornalista e professore universitario alla Bicocca di Milano),

per esempio, se il bambino è malato non necessariamente piangerà, ma piuttosto sarà spento, svogliato e senza sorriso. Se invece la malattia è lieve, il pianto ci sarà, ma sarà più flebile del solito. Al contrario, piangerà sempre più forte se, con urla e scalpitii, sta cercando di chiedere

qualcosa ai genitori.

Dunque bisogna preoccuparsi di più quando il pianto è sempre più debole, non quando aumenta di intensità fino a torturarvi i timpani. È sbagliato anche anticipare le richieste del pupo per evitare che pianga: bisogna farlo piangere, perché quella è la prima vera forma di dialogo tra voi e lui. Domanda, risposta.

E passiamo alla fatidica questione che divide i genitori in scuole di pensiero: al segnale del pianto bisogna prendere in braccio il bimbo oppure no? Prenderlo in braccio è, in realtà, la forma primaria di “risposta” alle sue domande: cullandolo e coccolandolo capiremo cosa gli manca (il latte, la mamma, o solo un po’ di coccole…). Molti medici sostengono che sia necessario tenere in braccio il neonato finché non si calma completamente. In ogni caso, è molto importante che il bambino chieda con il pianto ciò che desidera, perché solo così rafforzerà la propria autostima, percependo di essere capace di chiedere ciò di cui ha bisogno, ottenendo un risultato dall’ambiente esterno.

Per concludere, sfatiamo alcuni luoghi comuni:

− non tutti i pianti del bimbo sono “colichette“. Spesso la reazione del pupo è consequenziale all’agitazione di mamma e papà. Ci avete mai fatto caso?

− “sta mettendo i denti” o “è sporco e vuole essere cambiato”, a volte, sono dei palliativi per i genitori più che effettive esigenze o malori del bambino

− non sempre il pupo piange di notte perché ha fame. Spesso sente solo una struggente mancanza della mamma. Si raccomanda un’abbondante dose di coccole!

Marina Piconese

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