Ludvig Van Beethoven, Vincent Van Gogh, Virginia Woolf, Ernest Hemingway, Edgar Allan Poe, Emily Dickinson, Hermann Hesse.
Scrittori, pittori e compositori che hanno in comune la loro incomparabile genialità. Ma ad accomunarli c’è anche qualcos’altro, una caratteristica che sembra essere direttamente connessa proprio a questa genialità: il disturbo bipolare di cui soffrivano. Così, ancora una volta, ci troviamo ad affrontare il binomio genio-follia. E, ancora una volta, ci viene confermato che è possibile che vi sia un legame tra i due termini, che nell’irrazionale si trovino potenzialità da cui possono dipendere la ricerca e l’espressione estetica.
Alcuni recenti dati statunitensi indicherebbero, infatti, che tra coloro che svolgono professioni creative la percentuale di maniaco-depressivi è di oltre 8%, mentre nella popolazione generale è solo dell’1%. Il legame dunque esiste, come già confermato da altri ricercatori, anche se Greg Murray (della Swinburne University of Technology, Hawthorn, Australia) e Sheri Johnson (della University of California, Berkeley, Stati Uniti) in un recente articolo di revisione sull’argomento, pubblicato su Clinical Psychological Review, ricordano che deve ancora essere dimostrato in maniera definitiva.
Il legame, inoltre, sembra non essere lineare, perché chi soffre delle forme maniacali più gravi è meno capace di generare creatività rispetto a chi soffre di forme più leggere. Insomma, per essere creativi bisogna essere folli, ma non troppo. Solo un leggero tocco di maniacalità.
Dal punto di vista neurobiologico, sembra che la creatività si fondi sul neuromediatore dopamina, una sostanza che si trova nella zona mesolimbica, dove si trova la parte del cervello dedito alla gratificazione (detto appunto ‘circuito della gratificazione’). La dopamina è responsabile della nascita di stati d’ animo positivi, ma anche di tutto quello che concerne alla maniacalità. “Un ampio numero di studi afferma che rispetto all’umore neutrale, lo stato d’ animo positivo (esemplificabile nella felicità) è associato con l’ incremento dell’ originalità“, sostengono Murray e Johnson, coordinatori della ricerca alla base di questa scoperta scientifica.
Sull’argomento è intervenuta anche un’esperta in materia, Kay Redfield Jamison, professoressa di psichiatria alla Johns Hopkins University School of Medicine di Baltimora e autrice del libro «Touched by the fire» , che parteciperà alla settima conferenza mondiale The future of Science, intitolata quest’anno “Mind: the essence of Humanity”, che si terrà dal 18 al 20 settembre a Venezia alla Fondazione Giorgio Cini.
La Jamison sottolinea come l’umore elevato della fase euforica, sia correlato, in qualche modo e sotto certe circostanze, alla creatività. In modo diverso, anche la depressione, che può facilitare la riflessione, potrebbe avere implicazioni nel processo creativo.
Il sottile confine che delimita la demarcazione tra creatività e disagio psichico costituisce un enigma che affascina ed inquieta chi lo vive dall’esterno. Ma per chi soffre di disturbo bipolare, il disagio psichico può portare allo scoperto, pur nella sofferenza, le attitudini immaginative e creative che altrimenti resterebbero ignote, come sono ignote alla maggior parte delle persone ritenute “sane”.
Roberta Ragni