Il colore degli animali domestici

Il colore degli animali domestici? È opera dell’uomo

Condividi su Whatsapp Condividi su Linkedin

L’addomesticamento degli animali risale a circa 10 mila anni fa e da quel momento in poi gli animali non sono stati più gli stessi. L’uomo, oltre ad allevarli per farne cibo e per farsi aiutare nei lavori faticosi, si è arrogato il diritto di decidere anche quale aspetto dovessero avere. Questa è la conclusione a cui è giunto uno studio anglo-svedese.

I ricercatori affermano che sono stati gli uomini i “creatori” del colore degli animali domestici, non attraverso colorazioni temporanee (come spesso vediamo oggi giorno), ma selezionando le mutazioni genetiche più rare dalle quali dipendevano il colore, le striature e le macchie. Questo processo si è svolto nell’arco di migliaia di anni.

La ricerca, pubblicata sulla rivista Plos Genetics e condotta dall’Università svedese di Uppsala e da quella britannica di Durham e finanziata dalla Ue, ha preso in esame il Dna di maiali selvatici e domestici di Europa e Asia, ma i risultati possono essere estesi anche ad altri animali domestici come mucche, pecore e cani, ma anche a cavalli, volpi, etc. Il tutto si basa sugli incroci decisi dagli uomini (pratica sempre esistita e tuttora praticata) riguardanti un gene comune a numerose specie che ha il compito di gestire il colore del manto e che controlla il recettore della melanocortina-1 (Mc 1r).

Si è scoperto che le mutazioni di questo gene sono presenti in maniera più evidente negli animali domestici rispetto a quelli selvatici. E infatti notevoli sono le differenze di colore tra animali selvatici o domestici della stessa specie: i primi presentano un manto prevalentemente nero-marrone che, rendendoli meno visibili, serve a proteggerli dai predatori, mentre gli animali domestici hanno un manto più chiaro forse dovuto all’esigenza dei pastori di controllarli meglio durante il pascolo.

Scientificamente si può così spiegare la mutazione: Mc 1r è un recettore per le proteine G, viene espresso principalmente nei melanociti e svolge un ruolo molto importante nella melanogenesi poiché determina l’intensità del colore dei pigmenti bilanciando eumelanina e feomelanina: quando l’ormone MSH si lega a Mc 1r si ha la sintesi di eumelanina altrimenti i melanociti producono solo feomelanina. Nell’esemplare selvatico si riscontra la piena espressione sia della feomelanina rosso/gialla sia della eumelanina scura dando al pelo dell’animale un colore misto che lo rende mimetico nei confronti dei predatori.

I ricercatori hanno scoperto che il numero di mutazioni tra i due gruppi è simile, ma tutte le mutazioni negli esemplari selvatici risultano silenti e perciò viene mantenuto il tipico colore scuro-misto del pelo, mentre 9 delle 10 mutazioni individuate negli esemplari domestici alterano il colore del pelo. Uno dei ricercatori svedesi, Leif Andersson, sottolinea che “Lo studio dimostra che una proteina può cambiare molto velocemente sotto la pressione di una forte selezione e che gli uomini hanno ‘creato’ maiali dal manto a chiazze nere selezionando numerose mutazioni consecutive comparse in modo casuale”.

L’archeologo britannico Greger Larson, commentando i risultati di questo studio, ci ricorda che “5 mila anni fa le popolazioni della Mesopotamia avevano animali domestici dal manto colorato in modo diverso rispetto alle specie selvatiche” ed è convinto che lo studio “dimostra per la prima volta che la predilezione dell’uomo per nuove colorazioni e disegni risale a migliaia di anni fa”.

Ma cosa spingeva gli allevatori a incrociare le specie per ottenere animali con determinate colorazioni? Uno dei motivi, come già accennato, era quello di rendere gli animali addomesticati più riconoscibili facilitando il loro controllo. Ma si pensa anche che, siccome spesso il colore si associava a caratteristiche pregiate, allora si tendeva a riprodurre animali con quel tipo di colore. Ma un’altra possibilità, forse troppo banale ma non per questo da scartare, è che i primi allevatori erano attratti dal colore e dalle novità e quindi un mero scopo estetico. Non bisogna stupirsi se oggi si arriva a dei veri e propri eccessi.

Volente o nolente… è l’evoluzione!

Lazzaro Langellotti

Condividi su Whatsapp Condividi su Linkedin