Un recente studio globale sulle sostanze sintetiche impiegate nella catena di produzione alimentare lancia un messaggio inequivocabile, senza mezzi termini. Per anni abbiamo edificato un modello produttivo basato sulla promessa di rendere gli alimenti più sicuri, conservabili e pratici. Tuttavia, proprio quei composti artificiali che hanno facilitato l’agricoltura intensiva e l’industria del cibo stanno generando un prezzo esorbitante: circa 2,2 trilioni di dollari annui in spese sanitarie, una somma paragonabile ai profitti combinati delle cento principali società globali.
Nel dossier, redatto da numerosi ricercatori provenienti da enti come l’Institute of Preventive Health, il Center for Environmental Health, ChemSec e atenei americani e inglesi – da Sussex a Duke – si delinea uno scenario preoccupante. Sostanze perfluoroalchiliche, antiparassitari, ftalati e bisfenoli, presenti ovunque nei nostri alimenti e negli imballaggi che li proteggono, stanno gravando sulla salute collettiva con un impatto che nessun governo può trascurare. Neoplasie, problemi neurologici dello sviluppo, sterilità, sovrappeso e disfunzioni ormonali rappresentano solo alcune delle conseguenze più gravi. Ma non finisce qui: anche gli habitat naturali, già compromessi da decenni di sfruttamento intensivo, subiscono le ripercussioni dell’esposizione massiccia a questi agenti.
Il fardello dei composti persistenti
Nel documento emerge una questione che non può essere sottovalutata: quando parliamo di sostanze perfluoroalchiliche e fitofarmaci, non affrontiamo un semplice effetto secondario, ma un’eredità velenosa che influenzerà la salute delle persone e l’equilibrio ambientale per decenni. Le conseguenze sugli ecosistemi, sebbene difficili da misurare con precisione, vengono stimate in ulteriori 640 miliardi di dollari considerando esclusivamente le perdite nel settore agricolo e gli interventi per garantire la sicurezza delle risorse idriche contaminate.
L’analisi demografica non offre prospettive migliori: secondo gli esperti, se i livelli correnti di esposizione agli interferenti ormonali, come ftalati e bisfenoli, rimarranno costanti, tra il 2025 e il 2100 si potrebbero contare da 200 a 700 milioni di nascite in meno a livello mondiale. Non per una decisione volontaria, ma a causa di un progressivo e invisibile deterioramento biologico che ha origine sulle nostre tavole.
Philip Landrigan, pediatra e professore di salute pubblica internazionale al Boston College, definisce lo studio un “segnale d’allarme”. Il suo monito è inequivocabile:
Il pianeta deve aprire gli occhi. La contaminazione chimica rappresenta una minaccia paragonabile al riscaldamento globale.
Secondo Landrigan, i risultati ottenuti nella battaglia contro le malattie infettive sono stati vanificati dall’aumento delle patologie croniche, alimentate dall’esposizione continua a composti artificiali che circondano specialmente i bambini.
Non è soltanto la salute umana a pagarne le conseguenze. Dal dopoguerra la produzione chimica mondiale è cresciuta di oltre 200 volte, con più di 350.000 sostanze sintetiche attualmente disponibili sul mercato. E, come sottolineano gli studiosi del Stockholm Resilience Centre, abbiamo oltrepassato un “confine planetario”: una barriera oltre la quale gli equilibri ecologici non assicurano più quella stabilità che ha permesso lo sviluppo della nostra società negli ultimi diecimila anni.
La situazione peggiora per via di una pratica industriale che sembra appartenere a un’altra epoca: diversamente dai medicinali, le sostanze chimiche vengono commercializzate senza rigorose verifiche preventive sulla loro sicurezza, quasi come un colossale “test” globale condotto senza il consenso di nessuno. E le conseguenze emergono spesso troppo tardi, quando i danni sono ormai estesi e irreversibili.
In questo contesto, sostanze perfluoroalchiliche e fitofarmaci costituiscono solo la parte visibile del problema. Le prime si trovano nella carta da forno, nelle vaschette, nei sacchetti per popcorn, nei contenitori per alimenti; i secondi alimentano l’agricoltura industriale, che riversa tonnellate di prodotti sui terreni per garantire rese elevate. Ftalati e bisfenoli, invece, abitano nelle plastiche che entrano costantemente in contatto con ciò che consumiamo, dai guanti usa e getta agli involucri.
Tutte queste sostanze condividono una caratteristica comune: alterano il sistema ormonale, compromettono lo sviluppo neurologico, incrementano il rischio oncologico, modificano il metabolismo, favoriscono la diffusione di obesità, diabete e patologie cardiovascolari. Un mix invisibile che accompagna l’essere umano sin dalla nascita.
Landrigan ammette di temere particolarmente i danni ai cervelli dei più piccoli, un danno che sottrae capacità cognitive, intelligenza, opportunità future. E poi gli interferenti ormonali, capaci di infiltrarsi in ogni momento della vita, compromettere la funzionalità epatica, far aumentare il colesterolo e deteriorare gradualmente l’equilibrio metabolico fino a provocare eventi cardiovascolari e ictus.
Quando gli viene chiesto se i quattro gruppi esaminati siano sufficienti a descrivere il fenomeno, Landrigan risponde senza giri di parole:
Rappresentano solo la parte emersa. Esistono migliaia di composti di cui ignoriamo tutto. E continueremo a esporci finché uno di essi non causerà un danno così evidente da non poter essere più ignorato.
Un orizzonte che, evidentemente, non possiamo più permetterci di osservare con indifferenza.
Fonte: Systemiq