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Sclerosi multipla, nasce il primo farmaco per bocca

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I malati di sclerosi multipla hanno difficoltà motorie, ma non tutti i medici lo sanno. È la triste rivelazione di un’indagine presentata all’European Committee for Treatment and Research in Multiple Sclerosis di Goteborg.

Lo studio è stato condotto su oltre 600 tra malati, medici e infermieri e ha dimostrato che in un caso su due i dottori non parlano dei problemi connessi alla riduzione della mobilità, anche se proprio i malati denuncerebbero spesso diverse difficoltà nel muoversi, talvolta tanto gravi da spingerli al pensiero del suicidio.

Quando nella vita di una persona irrompe la malattia, l’impatto va molto al di là dei disturbi oggettivi che pure ci sono, eccome: alla diagnosi i pazienti sono di solito giovani, nel pieno dei loro progetti di vita. La prospettiva di finire su una sedia a rotelle nel giro di 15, 20 anni atterrisce“, dichiara Giancarlo Comi, direttore della Divisione di Neurologia dell’ospedale San Raffaele di Milano.

Oggi in media si cominciano le terapie dopo il terzo “attacco” della malattia, quindi un paio di anni dopo la diagnosi – spiega Comi -. I nostri dati dimostrano, su 500 pazienti seguiti per 5 anni, che iniziare le cure subito dopo la prima manifestazione della sclerosi multipla riduce l’estensione dei danni al cervello, dimezza quasi il rischio di avere un secondo attacco e raddoppia il tempo che passa prima che questo si verifichi. La sclerosi multipla, a differenza di tutte le altre malattie neurodegenerative, ci “allerta” con una prima crisi dopo cui, di solito, i danni permanenti sono ancora leggeri ma è possibile avere la certezza della diagnosi: per evitare la degenerazione successiva non possiamo permetterci di perdere tempo“.

Quello che serve, quindi, sono cure da somministrare in tempo. In arrivo sono, per esempio, dei farmaci da prendere per via orale, che renderanno le terapie meno fastidiose, e nuovi principi attivi che attaccano la malattia su fronti diversi rispetto agli interferone e glatiramer. Come spiega Comi “le combinazioni di farmaci si stanno rivelando molto utili. La sclerosi multipla è una malattia complessa, per cui verosimilmente in futuro dovremo individuare l’associazione di farmaci vincente per ogni paziente, tenendo conto del suo rischio di andare incontro o meno a una disabilità grave. Di certo oggi, rispetto a dieci anni fa, abbiamo maggiori possibilità di modificare il decorso della malattia“.

Intanto, la Society of Interventional Radiology ha sottolineato la volontà di sostenere gli studi clinici sulla Ccsvi del metodo Zamboni, ma dall’American Academy of Neurology arrivano richiami all’etica. Inoltre, la National Multiple Sclerosis statunitense ha stanziato 2 milioni e 400 mila dollari da distribuire fra Stati Uniti e Canada per verifiche sulla Ccsvi, mentre in Italia il 1° novembre partirà uno studio finanziato con 900 mila euro dall’Associazione Italiana Sclerosi Multipla. Dichiara Mario Alberto Battaglia, presidente AISM: “In oltre 30 centri di tutta Italia saranno sottoposti a ecografie doppler 1.200 malati, 400 pazienti con altre malattie neurologiche e 400 persone sane per dare risposte certe e arrivare a un metodo di diagnosi condiviso“.

Ma Zamboni si mostra scettico sulle modalità con cui verranno condotte queste indagini. Quello che per il momento ritiene necessario sottolineare è che la Ccsvi non è la causa della sclerosi multipla ma un fattore correlato. È per tale motivo che, grazie al sostegno della Regione Emilia Romagna, Zamboni comincerà degli esperimenti per verificare l’efficacia dell’angioplastica per liberare le vene ostruite.

Germana Carillo

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Giornalista pubblicista, classe 1977, laurea con lode in Scienze Politiche, un master in Responsabilità ed etica di impresa e uno in Editing e correzione di bozze. Direttore di wellme per tre anni, scrive per greenMe da dieci. È volontaria Nati per Leggere in Campania