Succede sempre: varchi la soglia di Tiger per comprare una cosa specifica, magari insignificante, e ti ritrovi dopo pochi minuti con le braccia cariche di oggetti a cui non avevi mai pensato prima. Non si tratta di un enigma irrisolvibile, né di scarsa disciplina personale. Non è nemmeno una questione di astuzia commerciale in senso negativo. Si tratta di un processo psicologico ben documentato da chi si occupa del nostro comportamento d’acquisto.
Tiger sfrutta un layout a serpente che rende impossibile arrivare dritti alla cassa. È un itinerario sinuoso, quasi ludico, che ci costringe a procedere con calma. Funziona perché la nostra mente è naturalmente attratta dalle novità, dalle tonalità vivaci, dai piccoli articoli che sembrano promettere un momento di spensieratezza. Non è un trucco sleale: è semplicemente biologia trasformata in strategia commerciale.
Questa dinamica, definita Gruen Effect, è stata analizzata ripetutamente nelle ricerche sul comportamento dei consumatori. È la stessa logica che Paco Underhill ha illustrato nel suo celebre volume “Why We Buy: The Science of Shopping”: quando ci troviamo in un ambiente progettato per catturare i nostri sensi, abbandoniamo il ragionamento lineare e iniziamo a seguire le emozioni. Ed è proprio in quel momento che avviene l’incanto, o il disastro, a seconda della prospettiva.
La mente si distende, si lascia distrarre, si lascia attrarre. Le barriere mentali cadono senza che ne siamo consapevoli. Non perché manchiamo di forza di volontà, ma perché è il nostro funzionamento naturale. Il cliente ideale non è necessariamente quello che spende di più, ma quello che prova piacere mentre osserva. E Tiger, in questo campo, è un vero esperto.
Come Tiger riesce a conquistarci facilmente
Percorrere quel tragitto tortuoso significa affrontare innumerevoli decisioni minuscole. È come dover rispondere a una valanga di notifiche: a un certo punto, le risorse cognitive si esauriscono. Questo fenomeno si chiama affaticamento decisionale, ed è il motivo per cui, arrivati al termine del percorso, quel kit di pennarelli luccicanti sembra un investimento perfettamente ragionevole.
È qui che il lavoro di Underhill diventa particolarmente illuminante. Nelle sue ricerche dimostra come l’esperienza fisica all’interno di un punto vendita condizioni il nostro pensiero molto più di quanto immaginiamo. Se un ambiente ci trasmette comfort, il cervello interpreta quella sensazione come un permesso a concederci qualcosa. Non necessariamente uno sfizio costoso: un piccolo regalo a noi stessi. E Tiger agisce esattamente su questo piano. In quella dimensione emotiva, delicata, dove l’oggetto da tre euro sembra sussurrarti: “Pensa alla gioia che ti darà”.
L’obiettivo, quindi, non è boicottare questi negozi o sentirsi inadeguati. L’obiettivo è comprendere il meccanismo. Una volta che lo hai identificato, diventa impossibile ignorarlo. E la volta successiva è probabile che ti venga da sorridere mentre stai per aggiungere l’ennesimo gadget “grazioso ma superfluo” al carrello. Forse lo rimetterai sullo scaffale. O forse lo comprerai lo stesso, ma stavolta con piena coscienza. E questo rappresenta già un progresso.
Il “percorso svedese” non è altro che un dialogo tra noi e lo spazio circostante. Tiger ci incoraggia a rallentare il passo, a respirare l’atmosfera, a lasciarci stupire. Non è inganno: è scienza del comportamento in azione. Comprenderlo ci consente di fare scelte più consapevoli, senza sensi di colpa e senza privarci di quel tocco di leggerezza che, talvolta, ci fa davvero bene.
Il punto vendita rimane identico. La differenza, ora, è che cominci a decifrarne le strategie. E quando conosci le regole del gioco, puoi decidere tu come giocarlo.
Fonte: Cornell Hotel and Restaurant Administration Quarterly