La JOMO è la scelta consapevole di non partecipare: meno pressioni sociali, più benessere. Restare a casa può essere la decisione migliore
Arriva quel preciso istante, l’ultimo giorno dell’anno, quando realizziamo che il vero problema non sta nelle temperature rigide, nel caos del traffico o nello spumante di scarsa qualità. Il nodo è l’obbligo stesso di presenziare. Come se l’ultimo dell’anno fosse un appuntamento imprescindibile con una tradizione che seguiamo per inerzia, solo perché “si è sempre fatto così”.
L’ultimo dell’anno si è trasformato in una maratona sociale. Occorre pianificare tutto, decidere dove andare, gestire conversazioni infinite, simulare eccitazione. Serve avere un programma definito, compagnia assicurata, un aneddoto interessante da condividere nei giorni successivi. Ricorda quando da bambini ci imponevano di “stare allegri” e improvvisamente l’allegria spariva?
Mentre all’esterno tutto grida “celebra!”, dentro emerge un ragionamento meno provocatorio di quanto possa apparire: perché non rimanere tra le mura domestiche? Non per malinconia. Non perché manchino opzioni. Semplicemente perché ne abbiamo avuto abbastanza. Le nostre energie sociali sono terminate, come i crediti di una vecchia sala giochi degli anni Novanta, quelle senza continue.
Cos’è la JOMO di fine anno
Questa esperienza porta un’etichetta che sembra tratta da un seminario aziendale, eppure descrive qualcosa di autentico: JOMO, Joy of Missing Out. La gioia derivante dal non partecipare. Dal saltare un evento. Dal non trovarsi dove “tutti gli altri” stanno facendo cose che, a conti fatti, non ci interessano affatto.
La JOMO non equivale a chiudersi in se stessi. Assomiglia piuttosto a quando smetti di seguire una serie televisiva che tutti adorano e ti senti stranamente sollevato. Oppure quando esci da un gruppo WhatsApp e il tuo organismo reagisce prima ancora della mente, come se qualcuno avesse improvvisamente ridotto il rumore circostante.
Durante l’ultimo dell’anno accade esattamente questo. Nessun abbigliamento da selezionare, nessun locale da raggiungere attraversando mezza città, nessun brindisi collettivo da coordinare, quando già mettersi d’accordo per uscire richiede un’impresa titanica. Solo la vostra presenza, il tempo che scorre più lentamente e quella sensazione particolare di non dover giustificare nulla. Nemmeno davanti allo specchio.
L’ultimo dell’anno rappresenta la celebrazione delle aspettative elevate. L’inizio dell’anno “fatto bene”, qualsiasi significato abbia questa espressione. Retrospettive, promesse per il futuro, fotografie con bicchieri sollevati fingendo convinzione totale. La JOMO si manifesta senza clamore e comunica qualcosa di elementare: potete inaugurare l’anno anche in abbigliamento da notte. Anticipazione: il primo gennaio arriva comunque. Nessuno verrà a bussare per rimproverarvi.
Rimanere nel proprio spazio, abbassare l’illuminazione, optare per il silenzio o una compagnia accuratamente scelta non costituisce una capitolazione sociale. È consapevolezza. È comprendere che non tutte le serate devono risultare memorabili. Alcune devono semplicemente essere autentiche. Come quelle serate in cui rivedi una pellicola che conosci a memoria e sai esattamente come termina, ma questo non diminuisce il piacere.
La ricerca scientifica lo conferma
E no, non si tratta soltanto di una percezione personale da condividere come un segreto imbarazzante. Anche gli studi psicologici hanno cominciato a considerarla seriamente. Una ricerca recente sulla Joy of Missing Out ha dimostrato che questo atteggiamento opera come controparte positiva della FoMO, quella voce interiore persistente che suggerisce che, in qualche luogo senza la vostra presenza, stia accadendo qualcosa di straordinario. Un po’ come quando declini un invito e scopri successivamente che l’evento era noioso. Solo che stavolta lo intuisci in anticipo.
Lo studio, sviluppato attraverso due indagini separate e realizzato su gruppi significativi di partecipanti, evidenzia come la JOMO sia collegata a livelli superiori di benessere mentale, consapevolezza e gentilezza verso se stessi, oltre a una relazione più equilibrata e meno ossessiva con le piattaforme digitali. In particolare, emerge un’osservazione rilevante: la JOMO sembra funzionare come elemento protettivo rispetto alla FoMO, il timore di essere tagliati fuori, frequentemente alimentato dal paragone costante e dalla presenza digitale forzata.
Secondo gli studiosi, la capacità di accettare deliberatamente la disconnessione – e persino di ricavarne soddisfazione – promuove una maggiore solidità emotiva. Non si configura come isolamento, bensì come una modalità di autoregolazione: decidere di non presenziare diminuisce l’ansia da performance sociale e consolida la sensazione di controllo sulle proprie ore e risorse personali. In sintesi: meno paragoni, meno timore di rimanere indietro, maggiore capacità di abitare il presente senza immaginare che altrove ci sia sempre qualcosa di superiore.
La JOMO dell’ultimo dell’anno riguarda i limiti personali. Non di chiusura difensiva, ma di decisione consapevole. Non di rifiuto delle relazioni, ma di attenzione verso se stessi. È pronunciare “questa sera declino” senza sentirsi comparse nella propria esistenza. È cessare di vivere ogni assenza come se costituisse una mancanza.
Abitiamo in una società che spinge costantemente verso l’esterno, verso il frastuono, verso la partecipazione obbligatoria e proprio per questa ragione rimanere fuori può trasformarsi in un modo per rientrare in contatto con sé. Senza dichiarazioni roboanti, senza promesse gridate, senza la pressione di inaugurare l’anno “nel modo corretto”, come se esistesse una giuria invisibile.
Perché il modo corretto, in definitiva, è quello che non ci prosciuga. E se questo significa rivedere una pellicola già nota, brindare quando ne abbiamo voglia e addormentarci senza conto alla rovescia, va perfettamente bene così. Anzi. Forse è proprio questo: un ultimo dell’anno senza pretese. Che, alla fine dei conti, è il dono più prezioso.