Ampia ricerca scientifica ridimensiona il ruolo dei grassi saturi: per chi è sano, eliminare burro e formaggi potrebbe essere inutile
Da decenni riceviamo lo stesso avvertimento: latticini, formaggi e burro dovrebbero sparire dalle nostre tavole. Troppo colesterolo, eccessivi grassi saturi, pericolo per la salute cardiovascolare. Un mantra ripetuto così spesso da trasformare ingredienti storici della nostra alimentazione in nemici da bandire senza discussione.
Ma le evidenze scientifiche più recenti dipingono un quadro molto più articolato, meno categorico e decisamente inaspettato.
Una recente e ampia meta-analisi scientifica rimette in discussione la convinzione secondo cui ridurre drasticamente i grassi saturi rappresenti sempre una strategia vincente per la salute. E lo dimostra attraverso l’analisi rigorosa dei dati raccolti, non seguendo tendenze passeggere.
Cosa emerge dalla ricerca
L’indagine ha esaminato attentamente 17 studi condotti a livello mondiale, analizzando i dati relativi a più di 66.000 individui, con l’obiettivo di verificare se limitare l’apporto di grassi saturi influisca realmente sulla mortalità e sull’incidenza di eventi cardiovascolari come infarti e ictus. La conclusione è inequivocabile: i vantaggi si registrano esclusivamente nelle persone che presentano già un elevato rischio cardiovascolare. Per la restante popolazione, ovvero la stragrande maggioranza delle persone, rinunciare a burro e prodotti caseari non produce alcun cambiamento rilevante, almeno nell’arco di qualche anno.
Detto in termini più diretti: se un individuo gode di buona salute, non fuma, non soffre di diabete né di patologie cardiache gravi, tagliare in modo drastico i grassi saturi non diminuisce le probabilità di decesso o di sviluppare malattie cardiache nell’arco dei cinque anni seguenti. Un’evidenza che smonta un paradigma radicato e impone una riflessione critica su alcune convinzioni diffuse.
I grassi saturi sono stati a lungo identificati come i principali responsabili dei problemi cardiovascolari. Naturalmente presenti nella carne rossa, nei derivati del latte, nel burro e in numerosi formaggi, sono stati collegati all’incremento del colesterolo nel sangue e alla formazione di depositi nelle arterie. Per questo motivo, le indicazioni ufficiali, come quelle fornite dal sistema sanitario britannico, suggeriscono di mantenere il consumo entro limiti precisi e di privilegiare i grassi considerati benefici.
Tuttavia, secondo una parte della comunità scientifica, il vero problema non risiede nel singolo alimento consumato. È l’intero modello alimentare che fa la differenza. Nell’editoriale pubblicato insieme allo studio, due ricercatori dell’Università di Barcellona sottolineano come la percezione dei grassi saturi stia evolvendo: non vengono più considerati unicamente dannosi, ma come nutrienti che possono determinare conseguenze differenti in base alla tipologia e al contesto dietetico generale.
L’importanza del contesto alimentare
All’interno di un regime alimentare bilanciato, ricco di ortaggi, legumi, cereali non raffinati e grassi insaturi, una certa quantità di grassi saturi non rappresenta necessariamente un rischio. Al contrario, alcune varietà presenti in modo naturale nei latticini potrebbero avere impatti neutri o persino benefici. Una prospettiva che non legittima gli eccessi, ma che ridimensiona la logica del “tutto vietato”.
Questo non implica che le raccomandazioni ufficiali vadano scartate. Gli specialisti invitano alla cautela, anche perché lo studio monitora gli effetti su un periodo di cinque anni, mentre i modelli di valutazione del rischio cardiovascolare si estendono generalmente su dieci anni o oltre. Modificare le linee guida sarebbe affrettato, ma trascurare questi risultati sarebbe altrettanto imprudente.
Il principio che si delinea è meno dogmatico e più pragmatico: non esiste una dieta universale valida per tutti. Per chi convive con disturbi cardiaci o fattori di rischio significativi, contenere i grassi saturi rimane una strategia ragionevole. Per gli altri, demonizzare burro e formaggi può rivelarsi superfluo, e potenzialmente dannoso se spinge a sostituirli con prodotti industriali ultra-lavorati o ricchi di zuccheri aggiunti.
In definitiva, la questione centrale non è stabilire se il burro sia salutare o nocivo. È valutare la qualità complessiva della nostra alimentazione, prestare attenzione alla genuinità degli ingredienti e verificare se il nostro stile di vita sia effettivamente equilibrato. La risposta, come accade frequentemente nel campo della nutrizione, è meno categorica di quanto desidereremmo. Ma forse proprio per questo risulta più autentica.
Fonte: Annals of Internal Medicine