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Bionica e robotica: quando l’uomo copia dagli animali

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La natura come musa ispiratrice di complessi progetti di bionica e robotica o, meglio, geniale inventrice da copiare spudoratamente.

Pipistrelli, insetti e aerei da guerra

Nel settecento, Lazzaro Spallanzani, il più eminente biologo dell’epoca scoprì l’eco localizzazione dei pipistrelli. Attraverso numerosi esperimenti notò che i pipistrelli erano in grado di vedere non tanto con gli occhi bensì con le orecchie. Questi Chirotteri si orientavano nello spazio attraverso un complesso sistema di ultrasuoni e relativi echi.

Durante il volo l’enorme quantità di ultrasuoni emessi dall’animale, circa 60 al secondo, in virtù dell’effetto Doppler, rimbalzano contro gli ostacoli e tornano indietro informando il pipistrello della presenza di ostacoli. Allo stesso modo gli ultrasuoni servono per la caccia e permettono all’animale di individuare con esattezza un insetto, raggiungerlo e mangiarlo. Con il pipistrello madre natura ha brevettato il radar acustico meglio conosciuto come sonar. Ma anche gli insetti hanno presto trovato un antidoto: produrre degli ultrasuoni in grado di confondere il sonar del pipistrello e avere salva la vita. Alcune farfalle invece durante il volo disperdono nell’aria delle squame alari che fluttuando creano turbolenze sonore.

Ed eccola l’idea geniale, pronta per essere copiata dall’uomo: il radar e naturalmente le sofisticate attrezzature per eluderlo, di cui ora sono dotati anche gli aerei da guerra.

La giraffa, il canale e le chiuse

Vi siete mai domandati come faccia il sangue della giraffa, ad affluire fino al cervello, considerando che la testa si trova a circa 6 metri d’altezza? Nei vasi sanguigni presenti nel lungo collo dell’animale sono disseminate delle valvole che aprendosi e chiudendosi permettono al sangue di percorrere la lunga strada fino al cervello. Con il medesimo sistema l’uomo è riuscito a risalire un canale controcorrente, superando i dislivelli con un sistema di chiuse. Il battello entra nel bacino a valle del canale e attraverso l’azione delle chiuse, grazie al principio dei vasi comunicanti, si solleva salendo ai livelli superiori.

Gatti e supercomputer

La scienza informatica ha ben compreso l’importanza di studiare gli organismi viventi per la propria evoluzione. L’Università del Michigan realizzerà un computer che si ispira al cervello del gatto e sarà in grado di identificare un volto umano in tempi brevissimi. È noto, infatti, che i gatti sono capaci di riconoscere un volto ottantatré volte più rapidamente di un calcolatore elettronico. Basta fissarlo per un secondo e lui si ricorderà di noi per tutta la vita. Un gruppo di ricercatori guidati da Wei Lu, ha intrapreso un progetto che li porterà a realizzare un “memristor“, un circuito capace di ricordare. Sarà in grado di collegare tra loro dei tradizionali circuiti con uno schema pressoché identico a quello che regola i processi di memoria e riconoscimento nel cervello dei gatti. Il cervello del felino è strutturato in modo notevolmente più semplice di quello umano ma è capace di performance incredibili.

Polpi e robot

La Scuola Sant’Anna di Pisa sta lavorando ad un progetto che renderà le prossime generazioni di robot più flessibili nei movimenti e con una maggiore capacità di adattamento all’ambiente. E tutto questo grazie allo studio dei polpi che saranno modelli indiscussi per questo programma.

Il polpo è una creatura decisamente cedevole: è in grado di passare in spazi ridottissimi oppure a buon bisogno irrigidire il proprio corpo, come spiega Cecilia Laschi coordinatrice del progetto Octopus. I polpi hanno un cervello piccolissimo ma in grado di gestire una moltitudine di movimenti. “Abbiamo capito – continua la Laschi – che i sistemi biologici sono molto diversi e non hanno una struttura rigida. Con il loro scheletro rigido, i robot attuali hanno scarse possibilità di adattarsi: in un ambiente complesso come la città, un robot attuale non sarebbe in grado di sopravvivere. Può invece farlo un organismo a rigidezza variabile come il polpo”.

Ancora una volta madre natura ci ricorda quanto abbiamo da imparare o meglio da copiare.

Lorenzo De Ritis

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