La qualità della vita è migliorata, mangiamo meglio, curiamo il nostro corpo, facciamo attività fisica, utilizziamo internet: eppure, siamo più soli. Negli ultimi anni la solitudine negli anziani si è trasformata in una vera emergenza sociale, riconosciuta da psicologi, medici, istituzioni e associazioni che operano nel settore. Non si tratta solo di una sensazione passeggera, ma di una condizione che può compromettere profondamente la salute emotiva, fisica e cognitiva delle persone più avanti con l’età.
Proprio la solitudine sembra essere diventata la malattia del nostro tempo, un tarlo che corrode quella patina di benessere con cui il progresso economico, scientifico e tecnologico sembrava averci protetto. E oggi questa condizione appare diffusa, trasversale e talvolta invisibile.
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Solitudine, un disagio senza età
È un disagio che non conosce distinzioni di età o di ceto sociale. Per anni si è ripetuto che “i ragazzi di oggi hanno tante più cose rispetto a quelli di cinquanta anni fa, ma sono più soli”. Ma non sono solo i giovani ad avvertire il peso dell’isolamento: gli anziani sono tra i più colpiti da un’emarginazione silenziosa, spesso causata da una società sempre più veloce, digitale e poco attenta ai ritmi e ai bisogni delle generazioni più mature.
Eppure i “nonni d’Italia” dei nostri giorni stanno provando in ogni modo a rimanere al passo con i tempi. La classica immagine dell’anziana seduta davanti alla porta di casa con i ferri dell’uncinetto è ormai legata a un passato lontano. Secondo il rapporto Censis, i nonni contemporanei sono dinamici, attivi e attenti alla salute: molti fanno regolarmente passeggiate, seguono corsi di ginnastica dolce, praticano yoga senior e partecipano a iniziative sociali o digitali.
Gli anziani di oggi sono più autonomi (ma non meno soli)
I dati più recenti del Censis confermano un quadro in evoluzione: più del 30% degli anziani si concede ogni anno brevi vacanze, oltre il 40% segue una dieta equilibrata privilegiando prodotti biologici e l’85,2% è in grado di gestire autonomamente la propria vita quotidiana. Si tratta di numeri importanti, soprattutto se confrontati con quelli del 2002, quando gli autonomi erano il 76,6%.
Negli ultimi vent’anni si è spostata in avanti anche l’età in cui compaiono malattie invalidanti, segno che lo stile di vita attuale – maggior attenzione all’alimentazione, attività fisica, prevenzione – ha allungato e migliorato la qualità della vita.
Eppure, nonostante questa crescente autonomia, cresce anche la percezione di isolamento: il 24% degli anziani ritiene che nell’ultimo decennio le condizioni della terza età siano peggiorate. In particolare, peggiorate dal punto di vista relazionale.
Perché gli anziani si sentono più soli?
Il problema principale evidenziato dagli studi recenti è la difficoltà a instaurare relazioni e mantenere rapporti sociali. Tre anziani su dieci vivono un senso di isolamento significativo, spesso aggravato da:
- la distanza geografica dai figli o nipoti, che oggi si spostano più frequentemente per lavoro;
- la digitalizzazione dei servizi, che può creare barriere a chi non è pienamente alfabetizzato digitalmente;
- la perdita del partner o degli amici coetanei;
- la riduzione di spazi urbani pensati per l’aggregazione sociale;
- la paura di non riuscire a svolgere semplici attività quotidiane come fare la spesa, prendere i mezzi o gestire eventuali emergenze.
A tutto ciò si aggiunge un diffuso senso di inutilità, alimentato dalla percezione di non essere più parte attiva della comunità. La solitudine, infatti, non è solo un’assenza di compagnia, ma il sentimento profondo di non sentirsi visti, ascoltati o valorizzati.
Solitudine negli anziani e salute – un legame da non sottovalutare
Oggi sappiamo molto più che nel 2010 sull’impatto della solitudine sulla salute degli anziani. Numerose ricerche recenti confermano che l’isolamento sociale è correlato a:
- maggiore rischio di depressione e ansia;
- peggioramento della memoria e maggiore rischio di demenza;
- calo delle difese immunitarie;
- aumento della pressione sanguigna;
- maggiore rischio di sviluppare malattie cardiovascolari.
L’OMS ha definito la solitudine “una minaccia crescente per la salute pubblica”, e molti Stati – tra cui Regno Unito e Giappone – hanno addirittura istituito un ministero dedicato alla lotta contro la solitudine. È un segnale importante di quanto questo fenomeno sia ormai considerato strutturale.
Una generazione attiva, ma troppo spesso invisibile
I dati del Censis mostrano una generazione di anziani spesso più attiva, autonoma e informata rispetto al passato. Tuttavia, ciò non significa che viva in condizioni migliori dal punto di vista emotivo. Le persone intervistate, infatti, dichiarano in buona parte di non percepire un reale miglioramento rispetto alle generazioni precedenti.
Come afferma il rapporto, il miglioramento della salute e della forma fisica non basta quando queste condizioni favorevoli vengono vissute in solitudine: senza relazioni, senza presenza e senza ascolto, il benessere rischia di svuotarsi.
Come combattere la solitudine negli anziani
Nell’ultimo decennio, in Italia e in Europa sono nate molte iniziative per contrastare questo fenomeno. Tra le più diffuse troviamo:
- Centri di aggregazione per la terza età, con corsi di attività fisica, cucina, arte, musica, digitalizzazione;
- Progetti intergenerazionali che mettono in contatto anziani e studenti, creando scambi culturali e affettivi;
- Volontariato di compagnia, che offre visite a domicilio o telefoniche;
- Case di comunità e infermieri di famiglia, introdotti negli ultimi anni per rafforzare l’assistenza territoriale;
- Associazioni e gruppi online, che aiutano gli anziani più digitali a mantenere relazioni anche a distanza.
Un ruolo importante lo svolgono anche le famiglie: dedicare tempo, fare telefonate più frequenti, coinvolgere gli anziani nella vita quotidiana, promuovere momenti condivisi può fare un’enorme differenza.
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La solitudine negli anziani non è inevitabile
La solitudine non è una condizione inevitabile della terza età. È un fenomeno complesso, ma può essere affrontato con strumenti sociali, familiari e individuali. Occorre riscoprire il valore della presenza, dell’ascolto, della comunità. Perché un anziano attivo, in salute e dinamico può vivere davvero bene solo se circondato da relazioni significative.
Educarci a uno sguardo più attento nei confronti della terza età significa costruire una società migliore per tutti. E forse, davvero, è il momento di sostituire il detto “si stava meglio quando si stava peggio” con una nuova consapevolezza: stiamo meglio quando stiamo insieme.