Conoscenza della disabilità in Italia: cosa è cambiato davvero

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In Italia vivono milioni di persone con disabilità fisica, sensoriale o cognitiva, e negli ultimi anni la consapevolezza pubblica è cresciuta grazie a campagne, media e nuove norme sull’inclusione. Tuttavia, molti studi recenti mostrano che informazione, accesso ai servizi e percezione sociale restano ancora oggi temi cruciali.

Quante persone con disabilità vivono in Italia

Negli ultimi anni l’ISTAT ha aggiornato le stime sulla popolazione con disabilità, indicando un quadro più preciso e articolato rispetto al passato. Oggi si considerano anche aspetti prima meno monitorati, come le limitazioni nella partecipazione sociale, il bisogno di assistenza continuativa e l’impatto delle patologie croniche sulla qualità della vita.

Il risultato è che il numero di persone con disabilità è cresciuto negli anni, anche per l’aumento dell’età media della popolazione e per il miglioramento delle diagnosi. Il tema, quindi, non riguarda solo minoranze specifiche, ma una parte significativa del Paese.

Quanto gli italiani conoscono davvero le disabilità

Nel 2010 solo la metà delle persone con bassa istruzione dichiarava di conoscere condizioni come sindrome di Down, sclerosi multipla o morbo di Parkinson. Oggi, sebbene l’informazione sia più diffusa grazie ai social, alle associazioni e alle campagne di sensibilizzazione, i livelli di conoscenza non sempre risultano adeguati.

Molti italiani, ad esempio, continuano ad associare le disabilità principalmente a problemi motori visibili, sottovalutando la presenza di:

  • malattie neurologiche;
  • condizioni degenerative;
  • disturbi cognitivi o psichiatrici;
  • patologie croniche invisibili ma altamente invalidanti.

La scarsa conoscenza contribuisce alla diffusione di stereotipi e alla percezione distorta di ciò che realmente significa vivere con una disabilità.

Un cambiamento culturale ancora necessario

“Uno dei processi culturali decisivi – ha affermato Francesca Martini, ex sottosegretario al Ministero della Salute – è comprendere che la disabilità è dentro di noi. Bisogna in quest’ottica attivare un percorso di coscienza familiare e locale”.

Queste parole, pronunciate oltre dieci anni fa, restano oggi più attuali che mai. La cultura dell’inclusione non si costruisce solo con le norme, ma anche attraverso atteggiamenti e relazioni quotidiane.

Accesso ai servizi: cosa è cambiato rispetto al passato

“C’è una difficoltà, per le famiglie di disabili, di accesso al servizio sanitario nazionale”.

Dal 2010 a oggi, l’Italia ha introdotto nuove linee guida e programmi per migliorare l’accesso ai servizi sanitari e sociosanitari, come la digitalizzazione delle pratiche, l’assistenza domiciliare e gli sportelli unici per la disabilità. Tuttavia, permangono differenze territoriali significative, soprattutto tra Nord e Sud.

Le famiglie spesso segnalano tempi di attesa lunghi per visite specialistiche, difficoltà burocratiche e mancanza di coordinamento tra servizi sanitari e assistenziali. Per chi vive in zone meno servite o per chi necessita di cure specialistiche continue, l’accesso resta ancora complesso.

I principali pregiudizi ancora diffusi

Ai tempi, si sottolineava che gli italiani tendevano a collegare la disabilità motoria a un incidente (68,7%), ignorando il peso delle malattie neurologiche. Oggi, pur con una maggiore informazione, molti pregiudizi restano ancora radicati.

Tra i più diffusi:

  • considerare la disabilità come una condizione statica e non come un insieme di situazioni molto diverse tra loro;
  • pensare che la disabilità riguardi solo gli anziani o chi ha subito traumi gravi;
  • credere che una persona con disabilità sia sempre totalmente dipendente dagli altri;
  • associare automaticamente la disabilità fisica a una limitazione cognitiva.

Combatte questi pregiudizi richiede una maggiore divulgazione, educazione nelle scuole e presenza di modelli inclusivi nei media.

Come reagiscono gli italiani di fronte alla disabilità

Nel 2010 i dati mostravano un atteggiamento ambivalente: solidarietà e ammirazione, ma anche timore e indifferenza. Oggi la percezione è cambiata, ma non così drasticamente.

Molte persone provano empatia e desiderano aiutare, ma esiste ancora un senso di imbarazzo o paura, spesso dovuto alla mancanza di familiarità con la disabilità. In parte, persiste anche il timore di potersi trovare un giorno nella stessa situazione, un sentimento umano ma che può condizionare la relazione con chi vive questa realtà quotidianamente.

Il dato sull’indifferenza – nel testo originale il 14,2% dichiarava di non sentirsi toccato dal problema – oggi è mitigato da una maggiore esposizione mediatica, ma non scomparso del tutto. Le differenze generazionali restano evidenti: i più giovani tendono a mostrare atteggiamenti più inclusivi e meno stereotipati rispetto alle generazioni più adulte.

Cosa serve oggi per una società più inclusiva

La vera sfida non è solo migliorare i servizi, ma cambiare prospettiva: considerare la disabilità come una condizione che riguarda tutta la società, non solo chi ne è direttamente coinvolto. Tra le priorità più urgenti:

  • rafforzare i percorsi di autonomia e inclusione lavorativa;
  • promuovere una scuola davvero inclusiva con strumenti aggiornati e formazione continua per gli insegnanti;
  • garantire accessibilità universale negli spazi pubblici e privati;
  • contrastare gli stereotipi attraverso media, educazione e sensibilizzazione;
  • sostenere le famiglie con servizi più rapidi, coordinati ed efficienti.

Leggi anche: Giornata Internazionale dei Diritti delle Persone con Disabilità: significato, diritti e come costruire una società più inclusiva

L’Italia ha fatto passi avanti importanti nella consapevolezza e nella tutela dei diritti delle persone con disabilità, ma il percorso è ancora lungo. Dalla cultura al sistema sanitario, dall’accessibilità alle relazioni umane, l’inclusione è un lavoro collettivo che richiede continuità e impegno. Conoscere, comprendere e superare i pregiudizi è il primo passo per costruire una società davvero aperta a tutti.

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