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Malati di cancro: le parole che (non) ti ho detto

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Ne sa qualcosa di cancro, lei, Deborah Orr, cronista del Guardian, che nella sua personalissima lotta contro la malattia le ha sentite dire di tutti i colori.

Non volontariamente, infatti, spesso familiari e amici cadono nella trappola della pura formalità e dicono parole di troppo che al malato fanno tutt’altro che bene.

Ora che la fase più dura della terapia post-operatoria è finita, la Orr ha messo giù una sorta di decalogo di quello che non si dovrebbe mai dire a chi ha un tumore.

Vediamo di che si tratta:

1.Mi dispiace molto per te“: una frase, dice la giornalista britannica, “che ti fa sentire oggetto di pietà e compassione, non è esattamente una bella sensazione ascoltarla

2.Se c’è qualcuno che può combattere questa malattia, sei proprio tu!“, per la serie “solo chi ha un carattere di ferro può farcela, non è di grande conforto, specie se in quel momento ti senti fragile e demoralizzato, come è possibile o normale che sia

3.Ti trovo proprio bene“, “È impossibile che non si noti l’affaticamento di qualcuno malato di cancro, dunque è un’uscita stucchevole, ipocrita, che non aiuta per niente

4.Hai un pessimo aspetto“, insomma, zitti no eh? Sia ipocrisia che sincerità al 100% non vanno bene: “Un malato non ha certo bisogno di ricevere una conferma del proprio stato

5.Fammi sapere i risultati degli esami“, su, nessun malato di tumore ha intenzione di diffondere i risultati delle analisi! Soprattutto se seguono a esami lunghi e stressanti, i cui esiti possono anche essere catastrofici…

6.Qualunque cosa io possa fare per aiutarti, sono a tua disposizione“, tipo? Stiamo solo ricordando al malato che non è autonomo. Il segreto sta semplicemente nel fatto di proporgli direttamente un suggerimento: “che ne dici se vado a prendere io i tuoi bambini a scuola il martedì?

7.Le tue preoccupazioni sono infondate“, secondo la Orr è la tipica frase che si usa proprio quando le preoccupazioni sono più che fondate

8. (Terribile)Cosa si sente davvero con la chemioterapia?“, a cui si potrebbe rispondere con un secco “perché non la provi e poi mi dici?

9.Ho davvero bisogno di vederti“, fosse facile… tra esami, analisi e incontri coi medici…

10.Sono terribilmente sconvolto per la tua condizione“, il che significa sotterrare l’ammalato. Meglio, e Deborah Orr conferma, “spunti positivi” e “una vicinanza serena, meglio regalare fiori e sorrisi che inondarlo di lacrime“.

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Giornalista pubblicista, classe 1977, laurea con lode in Scienze Politiche, un master in Responsabilità ed etica di impresa e uno in Editing e correzione di bozze. Direttore di Wellme.it per tre anni, scrive per Greenme.it da dieci. È volontaria Nati per Leggere in Campania.