Fonte: Daily Mail/EPA

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Terremoto in Emilia Romagna: se crolla anche la psiche

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Istanti infiniti, attimi di terrore impensabile e indecifrabile. Quando la terra trema, la prima reazione dell’uomo è lo stupore. Si resta sospesi, per secondi che paiono lunghissimi.

È il momento che precede la paura. Poi ci si sente piccoli e fragili, in balia di una forza immensa, indomabile, praticamente impossibile da fronteggiare. L’unico rimedio, per chi può, è uscire dagli ambienti chiusi, sperando nella clemenza della natura e del manto stradale. Che almeno quello regga, che non si rompa, che non si apra, inghiottendo gli ultimi residui di speranza.

Correre fuori, al sicuro, lontano dalle costruzioni umane. La propria casa, il rifugio accogliente, diventa la più insidiosa delle armi. Ma non tutti possono correre, non sempre è possibile reagire. I muri crollano, gli edifici si piegano su se stessi, le strutture collassano seppellendo persone, recidendo vite.

Dopo, tutto cambia. Lo scenario è diverso, la paura diventa compagna preferenziale delle menti provate dall’evento, la quotidianità viene sconvolta. Spuntano aiuti e tende, la gente si aggrega, si conteggiano le vittime e si tenta una stima dei danni. Per un po’, i giornali parlano solo di questo. Ore di collegamenti e servizi televisivi. Tutti sembrano interessati, in qualche modo. Si donano euro alle compagnie telefoniche, si raccolgono indumenti e qualche alimento per i terremotati.

Qualche giorno, qualche settimana, e la vita riprende il suo corso. L’attenzione dei più viene attirata dagli scandali della politica o da qualche flirt estivo che riempia il cuore di leggerezza. Le macerie si accumulano, nei luoghi colpiti, la polvere si deposita e rivela la portata delle ferite provocate dal sisma.

Al momento del dramma, mantenere l’interesse mediatico sui luoghi colpiti è facile. Ma poi, il tempo passa e deposita la sua coltre di indifferenza, lasciando le vittime nella più totale desolazione. La scia del disastro è ancora più terribile dell’istante preciso in cui avviene. Fabbriche chiuse, posti di lavoro che vengono tagliati, perché non ci sono risorse e perché il denaro per far andare avanti la produzione manca. Capannoni inagibili, strutture aggregative devastate, case acquistate con una vita di sacrifici che rimarranno per sempre inabitabili.

La vita, per i terremotati, si ferma. Per mesi, anni, anche per sempre. Basta guardare i luoghi sconvolti da altri terremoti, basta volgere lo sguardo all’Aquila, la cui ricostruzione è stata solo un virtuale esercizio oratorio. La realtà è fatta di travi, tiranti e recinzioni. Solo luoghi da cui stare fuori, zone rosse, interdette alla popolazione e alla vita comunitaria.

Così è per l’Emilia Romagna. Colpita dal sisma e dalla grande piaga dell’immobilità. Ma non quella totale, riconoscibile e da tutti condannata. Quella peggiore, silenziosa. Quella che fa indignare i cuori, per qualche minuto, così che poi tornare alla solita tranquillizzante vita sia ancora più facile. Quella che ci permette di reagire giusto il tempo necessario a lavarci la coscienza dal senso di colpa. Quella che fa disperdere le forze in altro e che impedisce alla vita di riprendere in modo dignitoso.

Allora, mentre il cuore sta ancora bruciando di indignazione, perché la ferita è fresca e ripetuta, mentre l’attenzione è alta e i danni hanno visibilità mediatica, facciamo un tentativo per uscire da questa immobilità. Ci sono iniziative lodevoli, come quelle di raccogliere alimenti ed oggetti, o quella di aiutare i caseifici di Parmigiano Reggiano, uno dei prodotti forti della zona. On line sono disponibili tutte le informazioni.

I disagi psichici degli eventi traumatici rovinano l’esistenza di molte persone, sono invalidanti e si trascinano per anni, se non affrontati adeguatamente. Perché non pensare ad una rete di sostegno psichico che possa aiutare coloro che soffrono a riprendere fiducia e coraggio?

Perché, infine, non pensare a un modo per mantenere desta l’attenzione su tutti i luoghi colpiti, senza bisogno che nuovi morti e nuove tragedie riaccendano la nostra indignazione, intorpidita dal tempo e così, facilmente, distratta?

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Fiammetta Scharf

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