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Una forte ambizione? Porta infelicità e la vs salute a rischio

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Siete ambiziosi? Volete primeggiare in tutto, avere una carriera da sogno, una vita al top ed essere inseriti nella lista dei più invidiati del pianeta?

Fate attenzione, perché l’ambizione è fatale e potrebbe farvi passare a miglior vita con un congruo anticipo. Il dato è stato or ora confermato da una ricerca paziente, iniziata nel lontano 1922. Alcuni ricercatori dell’Università di Notre Dame, nello stato dell’Indiana, hanno avviato questo studio monitorando la vita di più di 700 volontari e li hanno seguiti per settant’anni, rivolgendo loro domande sulla loro qualità di vita.

Chissà che spasso vivere con uno scienziato che, ad intervalli regolari, suona alla porta per domandarti, con aria asettica “lei è felice? Ma quanto? Su una scala da 1 a 10? E se fosse meno ambizioso, sarebbe più felice?”

Ciò che emerge, con apodittica certezza, è che nonostante i traguardi raggiunti, i soldi guadagnati e le vite apparentemente perfette, le persone che sognano di diventare Einstein, di vivere come Johnny Depp o di vincere le Olimpiadi, e non riescono nel loro scopo, poi sono frustrate, così frustrate da ammalarsi prima e morire per la rabbia. La semplificazione è eccessiva, ma il collegamento tra frustrazione, cattiva qualità di vita e morte precoce è stato provato.

L’ambizione, almeno quella esagerata, è una piaga che divora la persona dall’interno, per cui nulla di ciò che arriva basta a colmare il vuoto cosmico che si percepisce dentro di sè. È una condizione che i personaggi dello spettacolo conoscono bene e che conduce a gravi forme depressive: più sei famoso, più ti accorgi che questa fama non ti basta, non ti riempie, non ti dà la gioia che tutti pensano che debba dare. Quindi, al sapore dolce ma effimero del riconoscimento sociale, si aggiunge troppo spesso l’aroma della delusione e della cocente tristezza. Amplificato dal fatto che non c’è più alcun traguardo impossibile da sognare e alcuna meta sfuggente a cui dare la colpa per il mancato successo.

Il rimedio? Accontentarsi. Parola detestabile, almeno nella sua accezione di vivere al di sotto delle proprie giuste e sacrosante pretese, circondati da un’allure di modestia e convinti propugnatori del basso profilo. Questo è ciò che gli studiosi consigliano. Volete vivere di più? Accontentatevi. Rinunciate ai sogni di gloria, basatevi sul conformismo, perché adeguarsi allo schema sociale vi condurrà alla serenità.

E se non fosse così? Se lo studio confermasse semplicemente che la frustrazione, cioè la mancanza della capacità di godere dei risultati raggiunti, provoca malessere così grave da portare ad arrovellamento sull’inutilità della vita, alla percezione della pochezza che ognuno rappresenta, rispetto al mondo, alla malattia e morte? Se la realtà fosse quella che è l’incapacità di trovare un senso profondo, di riempire il cratere affettivo ed emotivo che solo una solida percezione di se stessi può dare a causare rabbia e immobilità – gli stati che precedono la depressione-? Se quello di accontentarsi fosse l’ennesimo invito a non alzare la voce, a non farsi sentire e, quindi, a non disturbare? Davvero è questo che può portare alla felicità?

Non sarebbe meglio cercare di investire in amore per se stessi, fiducia nel mondo e sogni che motivino sorrisi costanti? Non sarebbe più bello spronare gli esseri umani a dare il meglio, senza che ciò si trasformi in una gara a premi, e a cercare di realizzare il proprio potenziale? Che può anche essere quello di formare una bellissima famiglia, dove questo non sia, però, il premio di consolazione. Spingere ogni persona a decidere ciò che le appartiene, ciò che la fa stare bene e la rende felice. Non serena, ma felice.

Forse varrebbe la pena di invitare tutti a sentire ciò che ci riempie, ci fa percepire la nostra presenza nel mondo in modo sicuro. Insistere perché ogni essere umano possa far sentire la propria voce, perché tutti abbiamo qualcosa da dire. Farci percepire la nostra unicità, farci sentire che ognuno di noi è fondamentale per questo mondo. Finché abbiamo un sogno da inseguire siamo vivi e vitali, tesi a dare il meglio di noi.

Accontentarsi, sì. Ma solo della vita che abbiamo sognato e che ci rende ogni giorno felici.

Fiammetta Scharf

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