depressione genetica

Depressione: una ricerca ne conferma l’origine genetica

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Depressi si nasce, non si diventa. È questo l’importante risultato di una ricerca condotta da alcuni studiosi dell’Università del Michigan che rivaluta la teoria secondo cui i geni influenzano la nostra suscettibilità nei confronti della depressione.

Nel 2003, alcuni ricercatori dell’Università del Wisconsin e del King’s College di Londra, annunciarono la scoperta di una connessione fra il gene 5-HTT, che regola la serotoninala cosiddetta “molecola del buonumoree la capacità di ognuno di noi di riprendersi da un trauma.

Una teoria definita fondamentale, ma che nel 2009 fu confutata da uno studio pubblicato sul Journal of the American Medical Association (Jama) da un gruppo di esperti che aveva esaminato i risultati di 14 indagini diverse, mostrando che non ci sono basi scientifiche sicure a sostegno della teoria della connessione fra geni e depressione.

Tornando ai nuovi dati, lo studio dell’Università del Michigan – pubblicato su Archives of General Psychiatry – analizza 54 ricerche portate avanti fra il 2001 e il 2009, per un totale di circa 41mila pazienti, arrivando alla conclusione che una particolare variante del gene 5-HTTLPR (con allene corto) ha l’effetto di indebolire i circuiti cerebrali che gestiscono le emozioni negative, alterandone il funzionamento ed esponendo il soggetto al rischio di sviluppare sintomi depressivi in occasione di eventi traumatici.

Srijan Sen – che ha guidato la ricerca – commenta:

“avendo incluso tutti gli studi più pertinenti sull’argomento, possiamo confermare che il corredo genetico di un individuo fa la differenza nel modo in cui lui/lei risponde allo stress”.

Grazie a questa ricerca, potrebbe essere possibile ricostruire la “carta d’identità” genetica della depressione, rendendo possibile il controllo di questa malattia che, secondo le stime dell’OMS, potrebbe essere la seconda patologia più diffusa nel mondo dopo le malattie cardiovascolari.

L’esistenza di una causa genetica, inoltre, soddisferebbe gli interrogativi riguardanti l’eterogeneità delle reazioni dei pazienti alla somministrazione dei farmaci antidepressivi più comuni e aprirebbe la strada a nuovi farmaci e a nuove cure focalizzate sulla prevenzione di questa terribile malattia.

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