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Infanzia difficile? Può causare problemi respiratori e ansia

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Un distacco dai genitori durante la prima infanzia può portare a problemi respiratori in età adulta.

È quanto dimostrato dai ricercatori dell’Università San Raffaele di Milano e del Consiglio Nazionale delle Ricerche, che hanno condotto uno studio su centinaia di coppie di gemelli e, parallelamente, nei topi.

Se si sono vissute esperienze traumatiche da bambini, come una separazione precoce dai genitori, pare si inneschi una reazione che altera alcuni meccanismi fisiologici, tra cui quello della respirazione: sia uomini che topi hanno infatti manifestano iperventilazione in presenza d’aria lievemente arricchita in anidride carbonica.

Il meccanismo alla base di questa anomalia nella risposta respiratoria è un’interazione che avviene tra il patrimonio genetico degli individui e l’esperienza ambientale, in questo caso avversa; assume inoltre importanza l’età in cui queste difficoltà familiari si presentano: se il distacco avviene nell’infanzia, il problema respiratorio arriva e rimane stabile nella prima parte dell’età adulta.

Il test è avvenuto su coppie di gemelli intervistate sulle difficoltà vissute in età pediatrica mentre, per quanto riguarda i topi, si è provato a separali dalla madre biologica subito dopo la nascita, affidandoli ad una madre “adottiva” per i successivi 4 giorni: ebbene, nonostante venissero adeguatamente nutriti e accuditi, presentavano successivamente una risposta iperventilatoria all’anidride carbonica del 150% maggiore di quella osservata in cuccioli allevati normalmente. Le cause di questa risposta “esagerata” sarebbero addebitabili ad un aumento del segnale genetico, presente negli individui sottoposti a separazione precoce: in pratica, se si vivono difficoltà è come se venissero “reclutati” alcuni geni che in caso di infanzia tranquilla rimangono sopiti o vengono utilizzati in altro modo.

La ricerca assume rilevanza nel momento in cui si pensa che le difficoltà respiratorie di questo tipo sono alla base dei disturbi d’ansia dell’uomo, come gli attacchi di panico: “Grazie a questa strategia che parte dall’osservazione sull’uomo, traslando sull’animale, sarà possibile riportare all’umano una serie di conoscenze di genomica e neurobiologia acquisite in laboratorio”, spiega Marco Battaglia, professore di Psicopatologia dello sviluppo al San Raffaele. Dovremmo essere presto in grado di leggere alcuni cambiamenti di espressione genica che si verificano nell’encefalo di questi animali. La nostra missione ultima resta quella di aumentare le conoscenze dei meccanismi genetici e ambientali che influenzano manifestazioni ansiose nei bambini e giovani adulti, migliorandole strategie di prevenzione, diagnosi precoce e terapia.

Inoltre, aggiunge Francesca D’Amato, ricercatrice al CNR di Roma: Questo studio mostra per la prima volta in un modello animale che lo sviluppo di un organismo allevato in un ambiente ostile sia associato ad alterazioni della risposta respiratoria. Questo endofenotipo riscontrabile anche nell’uomo costituisce un punto di partenza fondamentale per la ricerca preclinica su questa patologia.

Eleonora Cresci

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