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Sclerosi multipla, Aism stanzia 3 mln € in favore della ricerca

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Una buona notizia per gli ammalati di sclerosi multipla. L’Associazione italiana sclerosi multipla (Aism) ha deciso di investire, attraverso la Fondazione italiana sclerosi multipla (Fism), 3 milioni di euro a favore della ricerca su questa patologia infiammatoria cronica che colpisce il sistema nervoso centrale.

Al bando, che scadrà il prossimo 8 marzo, potranno partecipare anche proposte di ricerca sull’Insufficienza venosa cerebrospinale, meglio nota come Ccsvi, una patologia scoperta di recente che potrebbe, se confermata, condurre al miglioramento della qualità di vita dei malati di sclerosi. L’Aism, si legge nel comunicato, “segue infatti con particolare attenzione i percorsi di ricerca scientifica in Italia e all’estero sulla Ccsvi in rapporto alla sclerosi multipla e attraverso la Fondazione italiana sclerosi multipla, si impegna a finanziare e – per tutto quanto necessario – a promuovere le ricerche di approfondimento e di sviluppo dei ricercatori italiani. Tutto questo verrà condotto in sinergia con gli impegni e i contributi di ricerca sviluppati nelle altre Nazioni e in particolare dalle Associazioni nazionali consorelle canadese e statunitense“.

A questo punto però viene da chiedersi come mai la ricerca non abbia stabilito finanziamenti ad hoc per gli studi sulla Ccsvi, ma abbia solo “permesso” ai ricercatori che si muovono in questo campo, di partecipare al bando. Vediamo ora di capire cos’è questa Ccsvi e come si è arrivati a scoprirla.

Lo scorso mese di settembre, il professor Paolo Zamboni, direttore del Centro malattie vascolari dell’Università di Ferrara, nel corso di un convegno internazionale che si è tenuto a Bologna, intitolato “Venous function and multiple sclerosis“, ha annunciato una scoperta sorprendente: curando la Ccsvi attraverso un innovativo intervento endovascolare mini-invasivo, detto volgarmente “liberazione“, si può ottenere un discreto miglioramento anche della sclerosi multipla. La Ccsvi, diagnosticabile con un ecodoppler specifico, sarebbe quindi correlata al rischio d’insorgenza di sclerosi multipla: i pazienti trattati con la terapia endovascolare hanno infatti mostrato una riduzione del numero di ricadute della malattia e una netta diminuzione della percentuale di lesioni attive cerebrali e spinali, associata a un marcato miglioramento della qualità della vita. Lo studio, che ha coinvolto 65 persone con diversi tipi di sclerosi multipla rispetto a 235 persone sane o che avevano altri disturbi neurologici, ha scoperto una forte correlazione tra coloro che avevano la sclerosi e i segni di un’insufficienza venosa, suggerendo così che il flusso sanguigno venoso possa essere compromesso e possa contribuire in questo modo a determinare lesioni ai tessuti nervosi.

Insomma, nonostante tutta la comunità scientifica, in primis i due professori titolari della ricerca, si sia affrettata a ricordare la necessità di ulteriori studi scientifici che confermino questa teoria, sembra proprio che una nuova finestra sia stata aperta sulla cura della sclerosi multipla. Dai dati raccolti emerge infatti che dopo il trattamento della Ccsvi nei pazienti affetti dalla forma più comune di sclerosi multipla ci sia un crollo delle lesioni attive che persiste 18 mesi dopo l`intervento: la percentuale di lesioni attive crolla dal 50% al 12%, dimostrando come l’aggiunta del trattamento della Ccsvi riduca l’aggressività della sclerosi. Il dato viene ulteriormente rafforzato dal numero di pazienti che non hanno manifestato più recidive dopo l’intervento endovascolare: nei 2 anni che precedevano l’intervento erano stati registrati attacchi acuti di sclerosi multipla nel 50% dei pazienti reclutati, mentre nei 2 anni successivi all’intervento il 73% dei pazienti operati non ha più manifestato alcun attacco, cambiando di fatto l’andamento clinico della malattia.

Inizialmente dunque l’assioma da cui è partito il team guidato dal professor Zamboni poteva sembrare bizzarro, ma alla fine si sta rivelando assolutamente realistico: la sclerosi multipla non ha origine dal sistema autoimmunitario ma da quello vascolare, per cui la chiave di volta della malattia è nascosta proprio nelle vene.

Ma come Zamboni è arrivato alla sua scoperta? Le vene varicose (dette tecnicamente Cvi, cioè Insufficienza venosa cronica), sono tali perché il sangue invece di salire e andare naturalmente verso il cuore, ristagna nelle gambe. Nel corso delle sue ricerche sulle infiammazioni vascolari, Zamboni ha però notato che – come lui stesso ha spiegato – “quando la circolazione nelle vene non funziona bene, come nelle varici, le gambe hanno macchie scure: depositi di ferro, pericolosi in quanto fonte di radicali liberi. E anche nelle placche della sclerosi, guarda caso, c’ è molto più ferro che nei tessuti normali“. Il che poteva appunto spiegarsi con un’irregolarità nella circolazione, un’ipotesi che all’inizio sembrava solo affascinante, ma che Zamboni ha subito testato. Quindi, dopo aver scoperto la presenza di un accumulo di ferro nella placca, dove appunto passa una vena, restava da capire cosa accadeva al funzionamento del vaso sanguigno. E questo non lo poteva svelate né la Tac, né la risonanza magnetica, ma solo un esame messo a punto ad hoc per questa situazione. A Ferrara, neurologi e chirurghi vascolari stanno già studiando un metodo per l’analisi emodinamica delle vene cerebrali. Ma la scoperta di Zamboni ha fatto in breve tempo in giro del mondo. Dal Canada agli Stati Uniti, dalla Nuova Zelanda all’Australia, molti parlano delle sue operazioni chirurgiche laser, anche se – ribadiamo – occorre andarci con i piedi di piombo perché ancora non è chiara la reale portata della scoperta.

Fatto sta che, mentre la scoperta della pillola contro la sclerosi multipla targata Novartis è stata ripresa da più di una testata giornalistica, la teoria di Zamboni è passata quasi in sordina. Il motivo potrebbe essere semplice: l’informazione spesso è legata a doppio filo con l’industria farmaceutica e quindi si dirige istintivamente verso ambiti in cui esiste un ritorno economico. Ricerche come quella sulla Ccsvi, non essendo “quantificabili” rischiano spesso di passare sotto silenzio. La speranza è che si riesca ad attrarre ulteriormente l’attenzione della ricerca (magari con finanziamenti specifici sulla Ccsvi) e che si riesca a smuovere anche tutta l’opinione pubblica a sostegno di un’ipotesi scientifica troppo rivoluzionaria per essere pubblicizzate in maniera “spontanea”.

Rosamaria Freda

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