Anche le grandi band vivono dei momenti di crisi. I fan le amano per la loro solidità, ma anche per la loro originalità, che non dovrebbe mai scadere nella continua riproposizione dello stesso sound.
Quando una band non si sente più in grado di reinventare se stessa, è segno di come sia giunto il momento di chiudere la propria carriera. È proprio ciò che stava per accadere agli U2 all’inizio degli anni ’90. Il gruppo si trovava in una fase di stallo, apparentemente irrisolvibile.
Come Bono ha raccontato alla stampa in una recente intervista, gli U2 vent’anni fa stavano per sciogliersi a causa di una buia fase di crisi creativa, in cui i componenti del gruppo non riuscivano a trovare un accordo sulla strada da percorrere per la pubblicazione di un nuovo disco.
Dalla parole del cantante scopriamo che a mancare in quel momento era “Una musica che nessuno avesse mai ascoltato prima. Quella era la nostra droga. Lo è sempre stata, lo è ancora. Lo so, avevamo fatto delle cose importanti nel mondo del rock, ma la musica che avevamo suonato fino a quel momento era roba che chiunque altro avrebbe potuto fare e, in molti casi, come in Rattle and Hum, terribilmente dèjà-vu. A quel punto la scelta era: o inventiamo un suono nuovo oppure tutti a casa“.
Poi accadde il miracolo e “One” fu la canzone che mise tutti d’accordo, anche grazie al supporto di Brian Eno. Così gli U2, che in quel momento festeggiavano il decennale della loro carriera, hanno potuto portare avanti i loro progetti per altri vent’anni.
Tutte le band però hanno una data di scadenza. Quando non si è più in grado di apportare innovazioni nell’universo musicale e se ci si trova ormai all’apice della carriera, è probabilmente giunto il momento di dire addio ai fan, come è accaduto da poco ai REM. Che dietro alle riflessioni di Bono sul passato si celi in realtà una certa preoccupazione per il futuro?
Marta Albè