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Danimarca la “Fat tax”, ovvero la tassa sui cibi grassi

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Paese che vai… grassi che trovi. Così in Danimarca, Paese idilliaco in cui tutto sembra sempre funzionare al meglio, si corre ai ripari. Dal 1° ottobre entrerà in vigore per la prima volta al mondo una “fat tax”, letteralmente una tassa sui “grassi”, che verrà applicata a tutti i prodotti ad alto contenuto di grassi saturi.

Su tutti i cibi, ovviamente i più colpiti saranno i junk food, ma nella lista nera ci sono anche prodotti caseari e olio d’oliva.

Nonostante meno del 10% dell’intera popolazione nazionale risulti essere clinicamente obesa, cifra ben al di sotto della media europea, la corona danese ha a cuore la salute del proprio popolo e ha deciso di tutelarla.

L’imposta per i cibi con oltre il 2,3% di grassi saturi è pari a 16 corone danesi (2,15 euro) al chilogrammo di nutriente. Il che significa che i danesi pagano da qualche giorno il 30% in più per una confezione di burro da 250g, l’8% in più per un sacchetto di patatine, 7,1% in più per un litro d’olio d’oliva. Così saranno più sani, più magri e più belli.

Ma, allo stesso tempo, le casse dello Stato saranno più piene: la “fat tax”, tradotta in soldoni, significa un’entrata annuale di non meno di 200 milioni di euro. Sorge spontaneo allora chiedersi se questa trovata sia davvero un modo per scoraggiare i danesi dall’acquisto di cibi grassi, o piuttosto un modo per “fare cassa”.

E la scelta danese, peraltro giunta dopo l’annuncio della cosiddetta “tassa sulla Coca Cola” della Francia, che ha deciso di aumentare dal 2012 la tassazione sulle bevande zuccherate, e dopo la “tassa anti-obesità” dell’Ungheria applicata ai cibi confezionati ad alto contenuto di sale, di zuccheri o carboidrati, probabilmente, non può che accendere il dibattito su questo tipo di misure.

Certo è che i danni dell’obesità sono evidenti e i numeri appaiono davvero spaventosi. Le malattie collegate direttamente all’obesità, ad esempio, sono responsabili di ben il 7% dei costi sanitari dell’Unione Europea, poiché l’aumento di peso è un importante fattore di rischio per malattie cardiocircolatorie, diabete, ipertensione e infarto.

Quanto alla nostra patria, secondo gli ultimi dati diffusi dalla Società Italiana dell’Obesità, gli obesi sono 5 milioni. A cui si aggiungono almeno 20 milioni di italiani in sovrappeso. Di questi, oltre 800mila sono affetti da obesità grave, mentre le spese socio-sanitarie sono stimate in circa 23 miliardi di euro annui.

“La radicata cultura alimentare fondata sulla dieta mediterranea – afferma la Coldiretti in una nota – non ha salvato i giovani italiani, come confermano i dati preoccupanti sull’aumento dei casi di obesità o soprappeso, dovuti a una non corretta alimentazione, che riguardano il 36% dei ragazzi attorno ai dieci anni, il valore più alto tra i Paesi europei secondo una indagine Merrill Lynch”. Così, ipotizza la Coldiretti, “la tassa sul cibo spazzatura ricco di grassi saturi dovrebbe essere utilizzata per sostenere il consumo di frutta e degli altri alimenti della dieta mediterranea in un Paese come l’Italia dove un terzo dei ragazzi italiani è obeso o in sovrappeso”.

Il problema dell’obesità esiste, nessuno lo nega, ed ogni mezzo è lecito per risolverlo. Purché sia efficace e di spirito “puro”. Allora, non sarebbe forse meglio in primis educare la popolazione a una corretta alimentazione, piuttosto che svuotarne i portafogli? Oppure, seguendo il monito della Coldiretti, sostenere il consumo di frutta e degli altri alimenti della dieta mediterranea ?

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Dopo una laurea e un master in traduzione, diventa giornalista ambientale. Ha vinto il premio giornalistico “Lidia Giordani”, autrice di “Mettici lo zampino. Tanti progetti fai da te per rendere felici i tuoi amici a 4 zampe” edito per Gribaudo - Feltrinelli Editore nel 2015.