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Alluce valgo, una nuova tecnica chirurgica

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Altro che laser per raddrizzare un piede storto! La tecnica meno invasiva contro l’alluce valgo non ha niente di così fantascientifico come tanta gente crede, ma si affida semplicemente a una minifresa, molto simile a quella usata dai dentisti.

Ma cos’è l’alluce valgo? Non è proprio una patologia, è meglio definibile come un sintomo, un forte dolore in corrispondenza della testa del primo metatarso, sia sotto sia sul lato mediale, dovuto al fatto che i 2 ossicini che dovrebbero tener “sui binari” l’alluce, non lo fanno. Il ditone allora “deraglia” e risulta storto (nel gergo “sublussato”) e arriva, nei casi estremi, ad accavallarsi sul secondo o addirittura sul terzo dito! Aldilà dell’aspetto estetico – un piede così non è propriamente bello da vedere – la cosa più grave è che fa davvero un gran male.

Per risolvere il dramma del mal di piedi legato a questa deformazione, le tecniche più recenti e mininvasive si avvalgono di mini-frese – le più in voga sono le triplanari – che permettono di eseguire l’intervento in day hospital e con la sola anestesia locale. Si parla a riguardo di tecnica percutanea perché avviene attraverso un’incisione millimetrica della cute. Il chirurgo opera sotto controllo radiologico e manovra, “al buio”, la fresa per “eliminare” la sporgenza.

Scarsa invasività, risultati sbalorditivi, rapidità di esecuzione: sembra davvero che la tecnica, inventata nei primi anni ’90 negli Stati Uniti da Stephan Isham, il fondatore tra l’altro dell’Academy of Ambulatory Foot and Ankle surgery, possa rappresentare ciò che l’artroscopia fu per la chirurgia del ginocchio.

Per eliminare qualsiasi dubbio anche tra i più fifoni, ecco perché optare per la soluzione percutanea: assoluta assenza di incisioni chirurgiche, assenza di dolore post operatorio e immediata ripresa della deambulazione. Cosa chiedere di più? Tra l’altro, rispetto alle tecniche demolitive del passato che “segavano via” la parte sporgente del metatarso, si distingue anche per il suo aspetto conservativo“.

Così, dei 4 step che costituiscono l’operazione è il terzo il più importante, quello in cui appunto si pratica, nella testa metatarsale, un’osteotomia distale obliqua – la cosiddetta osteotomia di Reverdin – Isham, dagli ideatori di tale procedura. In altre parole, si incide il metatarso a forma di cuneo con la minifresa. Tutto questo per orientare di nuovo correttamente la base di appoggio dell’alluce.

Altra procedura per i casi meno gravi è l’osteotomia “chevron“, molto diffusa negli Stati Uniti dove è stata ideata da Austin: un’incisione a coda di rondine, che permette la traslazione stabile del metatarso senza asportarne nemmeno la piccola parte a forma di cuneo. Assoluto rispetto quindi dell’articolazione, che viene riallineata e riorientata, ma senza demolire le sue componenti, in modo da mantenere la funzionalità ed evitare la degenerazione artrosica tipica della chirurgia del passato.

La durata dell’intervento è di circa 15 minuti, al termine dei quali si pratica un bendaggio imbottito con cui il paziente è libero di camminare, con un apposita calzatura post-operatoria. Dopo una settimana si elimina il bendaggio e si indossa una calza elastica e un separatore per mantenere la correzione.

Se è vero che l’operazione sembra, è proprio il caso di dirlo, una passeggiata, occorre comunque affidarsi sempre alle mani di esperti per evitare conseguenze, anche gravi, dovute a eccessive resezioni metatarsali o a mancate consolidazioni ossee, dovute al voler correggere a tutti i costi deformità eccessive non idonee a tale tipo di chirurgia. L’operatore deve avere una perfetta conoscenza dell’anatomia del piede, in quanto, lavorando a cielo chiuso, si deve evitare che le frese danneggino le strutture anatomiche, in particolare tendini e nervi sensitivi.

Quindi occhio alla scelta del medico perché, come già alcuni dell’altro millennio sostenevano, diffidare dei dottori troppo sicuri di sé e non attenti alla vera natura del problema del paziente è sempre cosa buona e giusta!

Valentina Nizardo

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